Tevere, di Luciana Capretti: alla ricerca dell’oblio di sè

tevere

Tevere è un romanzo sulla depressione femminile, ma anche e soprattutto, un romanzo storico, che ripercorre il periodo del fascismo e dei partigiani, attraverso gli occhi di Clara, dapprima bambina, poi adolescente, infine donna, Clara, e il suo male di vivere, che le viene incontro molto presto, durante l’infanzia, con un padre fascista e dispotico che annienta le sue donne, e poi, ancora, attraverso la morte, durante la giovinezza, dell’adorata sorella maggiore.
Neanche la creazione di una famiglia propria, con marito e due figli, la salverà: Clara è preda continua della sua solitudine, del suo male di vivere che, come un cancro incurabile, le attanaglia l’anima.
E un giorno scompare, lasciando tutto in sospeso, in una sorta di limbo esistenziale, vuoto cosmico dell’anima, e lo fa lungo le sponde del Tevere: e la storia in realtà comincia da qui – siamo negli anni settanta – e procede a ritroso, attraverso il dolore dei familiari, fino ad allora chiusi nella loro indifferenza e apatia, con l’assenza costante, fisica e morale, del compagno di vita, preso da tempo, nell’intimo, da un’altra donna.
Tevere è, come ho già detto, un libro sulla depressione e il suo buio, ma è anche uno squarcio ampio di storia, di storia italiana, da non consegnare all’oblio.