Quando la cronaca ci offre lo spunto per parlare dei giovani e di qualche loro assurda o violenta “performance”, la prima considerazione che facciamo è quella di una società allo sbando nella quale la famiglia si è disgregata, non educa più i ragazzi e la scuola non li prepara ad affrontare la vita, come professionisti e persone. In effetti, nel tempo è venuta a mancare quella squadra, formata da genitori e insegnanti, che costruivano i cittadini del domani e, di conseguenza, la società futura.
Le parole dimenticate
Tuttavia, ci sono alcuni termini che, se non cancellati, sono diventati ragione di critica e rifiuto da parte di tutti. Parole come disciplina, giudizio, severità, rispetto dovuto contraggono il viso in una smorfia a studenti e genitori: quegli stessi che si lamentano di una generazione fragile e senza regole. Fino agli anni ‘50, si è andati avanti con il sistema scolastico ideato dal filosofo Giovanni Gentile e la famiglia italiana era ancora costituita da mamma casalinga, che seguiva il figlio anche nello studio, e papà lavoratore. Quando entrava in classe “il prof”, scattavamo tutti in piedi e il terrore ci consumava nell’osservare quell’indice che scorreva lentamente sui nomi del registro, nella ricerca di chi sarebbe stato interrogato. La disciplina, salvo rari casi, non rappresentava un problema con le sue note sul diario e lo spauracchio del “7 in condotta”, che stava a significare bocciatura; nessun insegnante avrebbe immaginato l’accusa, da parte di qualche mamma chioccia, di non saper rendere la lezione affascinante, divertente e quindi d’essere il colpevole del disinteresse del figlio e della sua scarsa applicazione nello studio.
Ogni potere preferisce cittadini ignoranti
Si è iniziato con le “interrogazioni programmate” – basta quell’indice che scorreva sul registro – e si è arrivati all’autovalutazione, recente esperimento di una scuola elementare modenese. Nel prossimo futuro potremmo abolire l’esame di maturità – perché non dovrebbe bastare la pagella? – come abbiamo abolito gli esami di riparazione, sostituendoli con quelli del “recupero debiti formativi”. Chi non riesce a raggiungere la sufficienza, non è automaticamente bocciato, ma può ben sperare nella decisione quasi sempre magnanima del Consiglio di Classe. E così si può approdare all’università, con idee confuse sulla “consecutio temporum” o rimpolpando quello “stupidario” che ogni anno è pubblicato e raccoglie gli strafalcioni alla “Maturità”, tipo “Gabriele D’Annunzio, detto il water” invece che il “Vate”. Pirandello, invece, non scrisse “Il fu Mattia Pascal” ma “Il fu Matia Bazar”! Ogni potere preferisce cittadini ignoranti. Sarà questa la spiegazione di un’ignoranza così diffusa?
La scuola deve anche insegnare a vivere?
Impreparati e con l’illusione di un mondo accogliente dove tutto è dovuto, i ragazzi affrontano la vita reale. A questo punto, l’ovvia domanda è: la scuola deve insegnare anche che la società ha regole e comportamenti diversi? Dove nulla è facile e scontato? L’attuale sistema suppone che fuori dalla scuola esista una società benevola, comprensiva, che premia sempre ed è questa la ragione di tanto scoramento da parte dei ragazzi e della loro debolezza caratteriale: con il pezzo di carta in mano, si entra nella società, si cerca lavoro… e appare un mondo sconosciuto, esigente, a volte cattivo, sovente ingiusto e non si hanno gli strumenti psicologici (e forse anche di preparazione) per affrontarlo.
In sistema educativo va riformato: come?
Il sistema educativo va senz’altro riformato profondamente, iniziando a capire quale ruolo ha la scuola nella società, se deve perseguire sogni utopistici o tornare alla severità nei comportamenti e nella preparazione. E se l’obiettivo è quello di forgiare cittadini rispettosi delle cose e delle persone, delle regole e compiutamente preparati dal punto di vista culturale e professionale, gli insegnanti non possono essere da meno. Poi, si dovranno affrontare i contenuti e cioè i programmi.
Massimo Carpegna