Restrizioni anti Covid e polemiche sui ritardi, l’effetto domino d’autunno

Il rischio di un nuovo lockdown affonda le radici in una serie di errori e inadempienze del periodo estivo che ha complicato il contrasto al virus

Sulle nuove restrizioni anti Covid-19 crescono le polemiche sui ritardi dei mesi scorsi e si attiva l’effetto domino d’autunno sui precari equilibri della maggioranza di governo, mentre un nuovo dpcm è già sulla rampa di lancio, con la speranza di non arrivare a un lockdown generale.

Le nuove misure anti contagio derivano delle carenze estive

Le restrizioni, che sono allo studio dell’esecutivo, fanno emergere le mancanze dei mesi scorsi, quando il periodo estivo aveva regalato una provvidenziale tregua che non è stata sfruttata al meglio, provocando conseguenze pesanti nella gestione della nuova fase epidemica.

In effetti, bisogna tornare al 4 maggio, quando il lockdown era ormai alla fine, ed è proprio quello che ha fatto Matteo Carnieletto per Il Giornale, mettendo in evidenza una serie di punti deboli nei quali il governo è incappato in tutta evidenza nei successivi 5 mesi.

Gli errori nella strategia governativa risalgono all’estate

Si parte dal tracciamento dei contagi che prevedeva un piano da 300mila tamponi al giorno, consegnato da Andrea Crisanti al governo, ma il sistema è andato sotto pressione, già con il passaggio da 50 a 100mila, per il boom di richieste di inizio autunno. Ecco i successivi:

  • I test rapidi sono partiti solo pochi giorni fa, quando ormai eravamo entrati in fase di ripresa netta dei contagi
  • Già da marzo s’invitava la popolazione a fare il vaccino antinfluenzale in autunno per evitare il sovrapporsi dei malanni stagionali a quelli del Covid-19. Le regioni hanno fatto incetta delle dosi disponibili dando precedenza agli operatori sanitari, agli addetti a lavori di pubblica utilità, a bambini e anziani
  • Il rischio è quello che il grosso della popolazione attiva trovi poche dosi in farmacia, per mancanza di scorte adeguate
  • I mezzi pubblici sono affollati e non si prevede un piano alternativo per acquistarne altri senza gara o integrarli con trasporti privati per colmare i vuoti, con compensazioni e incentivi, coordinati per tempo a livello centrale
  • Carenza di terapie intensive, nonostante la presentazione di piani dedicati già in estate, con un incremento troppo lento dei posti ad alta densità di cura
  • La prospettiva di un nuovo lockdown natalizio, trasformato da misura di emergenza in prassi, infliggerebbe il colpo definitivo all’economia in ginocchio, ma manca una soluzione che scongiuri questo rischio nei prossimi mesi.

Le coincidenze inquietanti tra prima e seconda fase dell’epidemia

Secondo Tiberio Brunetti, fondatore e amministratore di Spin Factor, società di consulenza strategica e comunicazione politica, la percezione degli italiani sulla pandemia è tornata ai livelli del primo lockdown, passando repentinamente dal problema economico all’emergenza sanitaria come in primavera.

Indubbiamente, la popolazione avverte un grande disorientamento perché si ha l’impressione che si ripetano gli stessi errori della prima fase della malattia: ritardi, misure pasticciate, fughe di notizie e scontri confusi tra specialisti sui media, quindi sulle restrizioni anti Covid-19 crescono le polemiche sui ritardi ed è l’effetto domino della recrudescenza d’autunno.

L’evidente stanchezza degli italiani, riconosciuta dallo stesso premier Conte, può fare sprofondare nel panico anche a causa dell’economia sempre più in crisi, che non reggerebbe un secondo lockdown, mentre non è chiaro se gli aiuti del Ricovery Fund partiranno davvero a inizio 2021 o arriveranno a rate e troppo tardi.

Le preoccupazioni di Matteo Bassetti

Il Messaggero ha richiesto un’intervista a Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, da cui emerge una serie di carenze organizzative che spaziano dall’organizzazione generale, alla gestione dei tamponi fino ai problemi burocratici:

Se ci sono regioni già in difficoltà, significa che non è stato fatto quello che si doveva. Bisognava tenere la macchina con il motore accesoanche perché i ricoveri sono tanti ma di persone con sintomi che possono essere gestiti pure nei reparti di medicina, non casi complicati come a marzo/aprile“.

L’ostacolo insormontabile della burocrazia

Bassetti punta anche il dito sulla gestione discutibile dei tamponi, fatti perfino in assenza di sintomi o di veri contatti con contagiati, provocando code di otto ore e rischio di diffondere il contagio, anziché prevenirlo, senza dimenticare il perenne problema burocratico:

La burocrazia italiana è il peggior nemico della lotta al Covid. Tutti, credo, nelle regioni abbiamo preparato i piani pandemici, il motivo per il quale non sono stati ancora fatti, non penso sia legato all’incapacità di qualcuno, ma al fatto che il nostro è un sistema molto ingessato…Se c’è un’emergenza, si deve gestire con le regole dell’emergenza… Come fai a gestirla con un sistema farraginosamente lento?”

L’inchiesta di Domani conferma che il meccanismo è inceppato

Lisa Di Giuseppe e Giovanna Faggionato, giornaliste di Domani, aiutano chiarire la polemica generata dal commissario straordinario all’emergenza Domenico Arcuri, puntando il dito sulla mancata installazione di metà delle nuove postazioni di terapia intensiva da parte delle regioni, e lamentando che la sua richiesta di spiegazioni avrebbe ottenuto risposta solo da tre enti locali.

Di Giuseppe ricostruisce i fatti a partire dal decreto rilancio di questa primavera, che ha stanziato nuovi fondi per 5.612 nuovi posti di terapia intensiva e 4.225 per le cure subintensive. Al riguardo,  le regioni hanno presentato le loro richieste già entro luglio, ma la risposta del ministero della Salute ha ritardato, mentre la pubblicazione del bando o l’affidamento diretto spettava proprio ad Arcuri che ha indetto una gara lampo di tre giorni solo tra 9 e 12 ottobre.

Faggionato ribadisce nel suo pezzo che, per più di due mesi, i piani delle regioni sono rimasti “a prendere polvere” nelle mani della struttura guidata da Domenico Arcuri, e i documenti interni consultati dai giornalisti di Domani, confermano che 18 regioni avevano progettato la riorganizzazione degli ospedali e consegnato il programma al governo entro la scadenza.

Il governo aveva in effetti varato il decreto legge 34 il 19 maggio, dopo la fine del lockdown, dando 30 giorni di tempo alle regioni per raddoppiare i posti in terapia intensiva da 7 a 14 ogni 100mila abitanti, stanziando a tale scopo 1,1 miliardi di euro e, in conclusione, la struttura di Domenico Arcuri ha ricevuto tutti i piani aggiornati entro il 24 luglio e 5 giorni dopo e arrivato anche l’ok della corte dei Conti.

La farraginosità della macchina statale e le sue conseguenze

Arcuri avrebbe firmato le ordinanze di delega ai presidenti di regione, che avevano chiesto di gestire autonomamente i progetti di riorganizzazione e la gara lampo solo il 9 ottobre, dopo oltre due mesi dalla ricezione dei piani regionali, quindi i lavori devono partire adesso, mentre i contagi risalgono e i fondi disponibili sono ancora in giacenza.

Questa controversia e i problemi già elencati, sono la cartina al tornasole del tempo sprecato e della mancanza di una strategia organica e tempestiva, mentre gli ospedali hanno bisogno di appoggiarsi a strutture di bassa intensità di cura, per ripartire i ricoveri e concentrarsi sui pazienti più gravi ma, anche in questo caso, si procede in ordine sparso.