Paese che vai, usanze che trovi. In alcune nazioni la critica all’operato della magistratura è uno sport nazionale mentre in altre è un reato passibile di arresto. Amal Alamuddin, avvocato libanese meglio nota come neo-moglie di George Clooney, sembra essere stata vicina a sperimentare questo pericolo in Egitto. Lo rivela lei stessa al Guardian raccontando di minacce ricevute durante il processo a tre giornalisti di Al Jazeera tenuto a Il Cairo per aver espresso dubbi sull’indipendenza del sistema-giustizia egiziano. Per la cronaca, Amal è il legale di uno degli imputati. Il nodo della questione sarebbe in particolare la consuetudine di lasciare che sia il governo a designare i giudici nell’ambito di alcuni processi politici. Per la sua ”impertinenza” la signora Clooney avrebbe quindi potuto pagare caro. Anche se proprio oggi le autorità politiche egiziane provano a spegnere le polemiche invitando l’avvocato a tornare nel Paese ”quando vuole”.
Non ci sono state quindi conseguenze negative e non fatichiamo a capire il perché: l’arresto avrebbe generato un’eco incredibile in tutto il mondo e una bruttissima pubblicità sull’Egitto. Non possiamo certo pensare che il giudice in capo al processo, Mohamed Nagy Shehata, si sia lasciato prendere da un attimo di magnanimità: di recente ha condannato a morte ben 188 persone. I tre giornalisti sotto accusa nel frattempo sono stati condannati a una pena dai 7 ai 10 anni di prigione. Ma a capodanno arriva una svolta inaspettata. Una corte egiziana ha sancito l’annullamento del processo e quindi la necessità di rifarlo. Anche da quelle parti subiscono il fascino della nuova diva?