La Francia in crisi rischia di esplodere

La Francia non riesce a fronteggiare le tensioni crescenti a tutti i livelli, aggravate dallo scontro sulle pensioni. Macron è nell'occhio del ciclone.

La Francia in crisi rischia di esplodere e rende la vita difficile al presidente Emmanuel Macron . Non si placano infatti le proteste iniziate dai gilet gialli e alimentate di recente dalla contestatissima riforma delle pensioni.

La Francia in crisi rischia di esplodere e le proteste aumentano

Da mesi i gilet gialli mettono a soqquadro Parigi e dintorni perché il movimento di protesta è nato dal basso contro l’aumento dei prezzi del carburante e l’elevato costo della vita.

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Ma le cose stanno peggiorando, come spiega Federico Giuliani su Inside Over, per effetto delle proteste di massa contro la riforma delle pensioni che, a dire il vero, mira a sostituire 42 regimi pensionistici separati per sostituirli con un unico sistema basato su punti singoli.

La questione anima il dibattito e scatena le piazze. Il presidente Macron è nel mirino con l’accusa di riformare la Francia a scapito soprattutto delle categorie economicamente più deboli e la situazione si è avvitata su se stessa. Ecco perché la Francia in crisi rischia di esplodere.

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La Francia in crisi rischia di esplodere e Macron sfugge a un tentativo di linciaggio

Gli animi si sono talmente infiammati che la sera del 17 gennaio Macron e la moglie Brigitte hanno rischiato il peggio, mentre assistevano all’anteprima della pièce “La Mouche” al Théatre des Bouffes du Nord.

Il tam tam sulla presenza della coppia presidenziale a teatro è partito su Twitter per iniziativa del giornalista e militante antirazzista franco-algerino Taha Bouhafs, già fermato più volte dalla polizia per aver fomentato disordini.

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Il suo messaggio era in effetti inequivocabile: “Sono seduto tre file dietro al presidente. Ci sono militanti da qualche parte qui intorno, chiedo a tutti di venire. Si prepara qualcosa… la serata rischia di essere movimentata”.

L’attacco personale a Macron

I contestatori hanno risposto immediatamente, un gruppo di trenta persone ha cercato di fare irruzione all’interno del teatro e la polizia li ha respinti a fatica. Tuttavia, la coppia presidenziale è fuggita per evitare il peggio.

Dopo una decina di minuti, Macron è riapparso in sala, da solo, e lì è rimasto fino al termine dello spettacolo. Alla fine è salito sull’auto blindata tra le urla dei contestatori, appostati fuori dal teatro, e la polizia ha dovuto caricare per fargli strada.

La reazione sempre più dura dei sindacati

Gli analisti economici ritengono, a dire il vero, che la Francia non potrà avere in eterno 42 regimi pensionistici diversi sempre più onerosi da gestire ma la situazione diventa ogni giorno più incandescente e i sindacati della Confèdèration gènèrale du travail (Cgt) hanno provocato un blackout che ha messo al buio ampie zone di 11 città e bloccato le attività quotidiane di almeno 30mila persone.

E mentre la trattativa langue e i sindacati più arrabbiati promettono altre azioni clamorose, ci sono andati di mezzo pendolari, alberghi, sistemi di pagamento elettronico e anche semafori in tilt, con tamponamenti tra auto e mezzi pubblici.

Il governo alle prese con l’integralismo islamico

A complicare la situazione ci sono le periferie, a dire il vero, sempre esplosive perché una parte di francesi di fede musulmana rifiuta le leggi della Repubblica, invoca la sharia e gli attentati terroristici al coltello si moltiplicano anche in pieno centro.

Secondo i sondaggi, almeno 30% dei musulmani nati in Francia vorrebbe imporre una legislazione di chiara ispirazione coranica e invoca addirittura la poligamia. Questa ampia percentuale di integralisti, conquista in definitiva una fetta ulteriore dei francesi di fede islamica, quando si affronta il tema dell’emancipazione femminile.

Due terzi di loro, infatti, preferirebbero una posizione sociale più defilata per le donne, limitata soprattutto alla sfera domestica, con chiara predominanza maschile nel lavoro e nella vita pubblica.

Il degrado crescente delle banlieues

Secondo l’inchiesta di Giovanni Giacalone, il ministro dell’Interno transalpino, Cristophe Castaner, ha inviato di conseguenza un rapporto riservato ai vari prefetti, con la richiesta di convocare al più presto i gruppi di valutazione dei vari dipartimenti.

L’allarme è scattato perché l’intelligence interna francese (Dgsi) ha mappato almeno 150 periferie che sarebbero attualmente in mano all’islam radicale, non solo nelle grandi città, ma anche in quelle piccole.

Disoccupazione giovanile al 60%, spaccio di droga e criminalità sono, in altre parole, gli ingredienti esplosivi che rendono le banlieues un terreno fertile per il proselitismo islamista. Dalle periferie sono partiti infatti oltre 1.900 giovani che si sono arruolati nell’Isis.

Inoltre, la polizia francese interviene nelle periferie il meno possibile per evitare rivolte, i bar vietano l’ingresso alle donne che, sempre più numerose, indossano il velo integrale e i bambini cattolici sono aggrediti e insultati dai coetanei islamici perché “miscredenti“.

La vita difficile degli ebrei in Francia

Gli ebrei francesi non se la passano meglio, perché gli attacchi antisemiti sono aumentati nei primi mesi del 2019 del 78% rispetto all’anno precedente. 55.000 ebrei hanno quindi lasciato Parigi e Marsiglia per trasferirsi in Israele.

La presenza massiccia di islamici ha complicato le cose, perché il fronte integralista si estende alimentando l’odio antiebraico che, per la verità, si ingigantisce con attacchi di estrema destra, ma anche di formazioni di sinistra che condividono l’odio per Israele dei musulmani delle banlieues, sconfinate anche in antisemitismo aperto.

Roberto Vivaldelli riporta per inciso su Inside Over la testimonianza di Francis Kalifat, presidente del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche in Francia (Crif) e il quadro è allarmante:  gli ebrei sono meno dell’uno per cento della popolazione, ma sono il bersaglio di più della metà degli atti razzisti commessi in Francia e molti non denunciano perché temono rappresaglie e non risolvono nulla, specie nelle periferie.

La rivolta dei cattolici

I cattolici, infine, non stanno a guardare e, secondo la ricostruzione del  giornalista Andrea Massardo, si apre adesso un nuovo fronte di protesta a guida cattolica.

In base ai dati della prefettura parigina, e riportati dal quotidiano Le Monde, oltre 41mila persone hanno protestato contro la proposta di modificare la legislazione relativa alla fecondazione assistita, da estendere anche alle coppie omosessuali e alle donne single.

In conclusione, il governo guidato da Edouard Philippe è finito nel mirino con l’accusa di avere forzato la mano, imponendo una riforma troppo progressista e contraria ai principi della famiglia tradizionale.

L’iniziativa ha aperto quindi un nuovo fronte anti Macron. Non a caso, infatti, i cattolici hanno ricevuto immediatamente il sostegno di partecipanti provenienti da differenti culture e ambienti che hanno manifestato compatti contro la politica di En Marche perché ritenuta troppo poco gradualista e insensibile alle esigenze dei cittadini comuni.

I problemi economici della Francia

A dire il vero, la Francia non attraversa un buon periodo economico, nonostante la creazione di 800mila nuovi posti di lavoro, perché ha raggiunto il 100% del debito pubblico rispetto al Pil e lo statalismo, ritenuto da molti francesi la vera anima del Paese, si rivela una matassa sempre più ingarbugliata e refrattaria a qualsiasi cambiamento.

Secondo alcuni economisti, la Francia ha molti grandi gruppi industriali, ma è carente a livello di medie imprese rispetto alla Germania e quindi meno flessibile per fronteggiare la globalizzazione e anche le nuove sfide originate dalla guerra dei dazi.

Il combinato disposto di problemi economici, sociali e religiosi sempre crescente minano l’equilibrio francese basato sulla società laica, erede della Rivoluzione, guastando sempre più il rapporto tra cittadini e istituzioni, portando alla conclusione che la Francia in crisi rischia in definitiva di esplodere.

L’attivismo della politica estera francese

Lorenzo Vita spiega nei suoi reportage l’attivismo di Macron in politica estera, dato che continua a colpire le postazioni di Isis in Siria e conduce di fatto le operazioni delle flotte europee impegnate nell’Operazione Sentinella, promossa però dagli Stati Uniti a Hormuz.

Inoltre, Parigi ha concluso da pochi mesi un accordo con Cipro per una base navale nell’isola, mentre Egitto ed Emirati sono tra i maggiori partner dell’industria della Difesa francese.

Parigi potenzia la presenza militare nelle zone calde

In questi giorni, la portaerei Charles De Gaulle ha ricevuto l’ordine di trasferirsi nel Mediterraneo orientale perché gli interessi petroliferi di Total rischiano di essere compromessi dagli accordi che la Turchia ha concluso in Libia per lo sfruttamento del gas.

Ai buoni rapporti con i Paesi del Medio Oriente, e alle operazioni in Siria e Iraq, si unisce anche la forte presenza militare francese nel Sahel, proprio al di sotto della pentola a pressione libica e delle aree di crisi nord africane.

Il Sahel è una bomba a orologeria

Ma proprio in questa vasta area subsahariana, la Francia sta pagando alla fine il più alto tributo di sangue e le cronache di Davide Bartoccini su Inside Oversono una drammatica fotografia della situazione.

Parigi contrasta il terrorismo per difendere i suoi interessi nelle sue ex colonie, a partire dallo sfruttamento di uranio perché è vitale per l’industria nucleare francese e il Niger è inoltre uno dei Paesi dell’area con cui la Francia ha rapporti stretti, dato che fornisce assistenza e istruzione militare per contrastare i miliziani jihadisti fedeli a Abou Walid al-Sahraoui, leader de l’Etat Islamique dans le Grand Sahara (Eigs).

A questa formazione molto aggressiva si aggiungono gli attacchi terroristici in vaste zone del Sahel da parte di:

  •  Al-Qaeda nel Maghreb
  •  Mouvement pour l’unicité et le jihad en Afrique de l’Ouest, 
  •  Al-Mourabitoun
  •  Boko Haram
  • Cellule ancora operative dell’Isis

La strategia di logoramento dei terroristi

Le cellule terroristiche compiono attacchi improvvisi e sempre più sofisticati contro le caserme delle truppe nigerine preceduti da bombardamenti con razzi e granate di mortaio che infliggono pesanti perdite. Dall’inizio dell’operazione Barkhane, lanciata contro il terrorismo nell’agosto 2014, i francesi hanno già avuto 34 morti e 60 feriti.

Parigi ha sul campo 4.500 soldati dislocati in 8 basi tra Ciad, Mali, e Niger, rinforzati anche da unità d’élite della Legione Straniera, oltre a un massiccio impiego di mezzi corazzati e blindati, elicotteri Puma e Cougar, 3 droni di sorveglianza e 14 velivoli da trasporto, rifornimento e caccia.

La reazione politica francese e la sindrome afghana

Ma la strategia di logoramento dei terroristi impedisce una vittoria netta e cresce l’idea del disimpegno per evitare di precipitare in una situazione di tipo afghano. Ritirarsi rapidamente significherebbe però subire una sconfitta militare, psicologica e politica, senza contare il danno economico se Parigi rinunciasse alla cooperazione con i Paesi del Sahel. La crisi generale francese alimenta gli attacchi al presidente Macron che fatica a orientarsi in un percorso politico sempre più accidentato.


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