E’ con un tweet del 19 settembre che Doug Collins, conservatore e membro del Congresso, accusa la defunta Ginsburg, dando nuova vita al dibattito riguardo l’aborto.
La accusa di Collins
Nel cinguettio di Collins si può leggere che la storica giudice della corte suprema avrebbe, con le sue decisioni in materia di aborto, provocato la morte di oltre 30 milioni di bambini.
Iniziando con la sigla “RIP”, il tweet ha chiaro intento provocatorio e vuole far parlare di sé.
La mossa pare però aver portato più odio verso le parole di Collins che consensi.
E non è difficile capirne il motivo.
La morte della giudice aveva portato grande cordoglio da parte di tutti, in primis dei personaggi della scena politica, i quali si sono uniti sotto il medesimo dolore per la morte della Ginsburg.
In un clima di tale unione politica, interrotto solo dalla diatriba sul tempo in cui sostituire la giudice, un tweet del genere stona, in quanto anzitutto irrispettoso verso una figura così storica nel panorama giudiziario statunitense.
Il dibattito pro-life VS pro-choice
Oltre ad aver scatenato lo sdegno di molti, il tweet pare aver mosso poco o nulla nel dibattito morale sull’eticità dell’aborto. In pochi infatti si sono concentrati sulle critiche di Collins e piuttosto hanno fatto notare la loro inadeguatezza in un simile momento.
Detto ciò, le accuse di Collins si riferiscono a una serie di decisioni della Corte, adottate anche e soprattutto grazie al voto della Ginsburg, con cui negli anni passati erano state bloccate proposte statali per rendere più difficile l’aborto.
I due casi recenti con più risonanza sono stati quelli del Texas e della Louisiana, rispettivamente del 2016 e del 2019.
In entrambe le situazioni le norme imposte ai medici per l’attuazione di un aborto sono state considerate troppo restrittive e per questo bocciate.
Era stato proprio nel 2016, dopo la decisione della Corte Suprema, che Donald Trump si era espresso contro le posizioni pro-choice, promettendo che, se fosse stato eletto presidente, avrebbe nominato giudici con posizioni anti-aborto. Anche a questo fa riferimento il tweet di Collins, il quale si mostra fiducioso sul fatto che Trump mantenga la parola ed elegga un giudice conservatore che “valorizzi la vita“.
Il momento della verità pare ora essere vicino, dopo le dichiarazioni del presidente di ieri che preannunciano la nomina tra venerdì e sabato di questa settimana.
La situazione aborto in Italia
Il dibattito sull’aborto è un tema che in Italia non ha mai smesso di contrapporre due scuole di pensiero differenti e che, pur con le dovute differenze, ricorda molto quello statunitense sopra affrontato.
La legge italiana a riguardo è chiara e non lascia spazio a interpretazioni o variazioni che possano interessare una sola regione del Paese, cosa invece possibile negli USA grazie all’esistenza di leggi statali. Da ciò quindi l’acutezza del dibattito italiano, il quale aveva avuto un picco con le manifestazioni del “family day” e che, anche a causa dell’emergenza Covid, pare essere stato messo in pausa.
Il Coronavirus ha però avuto gravi ripercussioni anche in quest’ambito. A rivelarlo è stato uno studio del Human Rights Watch, il quale ha dimostrato come durante la crisi pandemica fosse difficile, per chi volesse abortire, trovare un medico disponibile entro i 90 giorni previsti dalla legge italiana.
Tale servizio medico non ha ricevuto immediata attenzione da parte del governo, se non in data 30 marzo quando il Ministero della Salute ha chiarito che i servizi di interruzione di gravidanza sono indifferibili.
La dichiarazione tuttavia, oltre ad essere in ritardo, non è stata seguita da tutte le cliniche e abortire in periodo di emergenza è stato un vero problema per molti, come hanno dichiarato alcune donne intervistate dall’associazione umanitaria.
In un simile periodo d’emergenza sono saltati all’occhio i tempi d’attesa e la burocrazia italiana in materia d’aborto.
Dopo svariate visite infatti, il tempo d’attesa può arrivare fino a sette giorni, il più lungo in Europa.
Inoltre, se si pensa che in gioco entra anche l’obiezione di coscienza da parte di alcuni medici, i tempi legali, già di loro ristretti, rischiano di non essere rispettati. Questa è stata la paura di molte donne, costrette a ricercare cliniche che assicurassero tempestività e a sperare di poter rimanere entro i tempi consentiti per ricevere un servizio che dovrebbe invece essere quanto più celere.
Insomma, il dibattito sull’aborto ha lasciato il posto negli ultimi mesi a grandi difficoltà di applicazione della legge, la quale ha dimostrato poca elasticità in un momento dove la burocrazia dovrebbe lasciar posto, almeno in parte, alla praticità.