La situazione nel Nagorno-Karabakh è in continuo mutamento e la recente ‘operazione antiterroristica’ voluta dall’Azerbaijan lo scorso 20 settembre potrebbe concludersi con l’integrazione nella società azera della regione separatista riconosciuta dal diritto internazionale come facente parte del territorio azero, ma abitata prevalentemente da oltre 120.000 persone di cultura ed etnia armena.
Questa la speranza del presidente azero Ilham Aliyev che durante un recente incontro con l’omologo turco Recep Tayyp Erdogan nell’exclave di Naxçıvan – una repubblica autonoma incastonata tra Turchia, Armenia e Iran – ha parlato della situazione nella regione confermando l’arrivo di soccorsi a favore dei civili. Inoltre, durante la conferenza stampa con il leader turco- i colloqui tra le parti in origine erano incentrati sulla possibilità della costruzione di un gasdotto – Aliyev ha ricevuto i complimenti da parte dello stesso in merito all’operazione militare. Erdogan si è detto orgoglioso della rapida conclusione della disputa militare e dell’impegno azero di difendere i civili.
Nel suo intervento il leader azero ha parlato di un secondo incontro con i rappresentanti del Karabakh che verrà effettuato a Khankendi (nome azero della capitale del Nagorno-Karabakh, il cui nome armeno è invece Stepanakert). In tutto questo la maggioranza degli armeni della regione continua a non fidarsi delle promesse di Baku: tra domenica e lunedì tremila persone hanno abbandonato le proprie abitazioni alla volta dell’Armenia (ma si presume che il numero aumenti nelle prossime ore), come confermato dallo stesso governo in una nota pubblicata domenica. Del resto, già nove mesi fa il governo azero aveva reso difficile l’arrivo di generi alimentari di prima necessità e di medicinali tramite il Corridoio di Lachin – l’unico lembo di territorio della regione sotto il controllo armeno – provocando grande disagio e sofferenza tra i civili. Non a caso, molti residenti citati da Reuters e Al Jazeera temono un possibile tentativo di “pulizia etica” da parte di Baku.
Lo scorso 19 settembre le forze armate azere hanno avviato un’operazione antiterroristica per “reprimere le provocazioni su larga scala” e spingere le forze Erevan a ritirarsi completamente da quel territorio in cui abitano persone di etnia armena. L’Armenia ha risposto che lì non sono presenti propri contingenti militari. Tutto si è concluso con la resa di Stepanakert che non ha opposto resistenza. In sole 24 ore l’operazione si è conclusa ed è stata un successo per Baku che ha ottenuto il disarmo delle forze armate separatiste grazie anche alla mediazione del contingente di pace russo presente nel territorio del Nagorno-Karabakh dalla precedente guerra tra Armenia e Azerbaijan, conclusasi dopo sei settimane di aspri conflitti nel novembre 2020.
Proprio la Russia, tramite una nota del proprio ministero degli ester, ha fortemente criticato l’atteggiamento di Nikol Pashinyan, primo ministro armeno, che all’indomani dell’attacco non solo ha ritenuto le forze russe presenti nel territorio come responsabili della sconfitta militare, ma ha anche accusato i media russi di impegnarsi tramite una ‘guerra di informazione’ per capovolgere il suo governo. Proprio nel momento di massima tensione, migliaia di persone hanno preso d’assalto i palazzi governativi di Erevan al grido di “traditore” nei confronti dello stesso Pashinyan.
Mosca ha reagito veementemente alle parole del premier armeno definendole “un modo per sollevarsi dalle responsabilità del fallimento della propria politica estera, scaricando la colpa sulla Federazione Russa”. Il ministero, oltre a ciò, ha dichiarato che il capo del governo armeno era da tempo che si stava preparando ad allontanarsi da Mosca. Il riferimento dei diplomatici russi è alla recente esercitazione militare tra armeni e statunitensi sul territorio armeno, la quale ha attirato le ire di Mosca in quanto nella città di Gyumri, a 120 km da Erevan, ha una importante base militare, la 102esima, risalente agli anni 40’.