Vajont, la ricorenza 55 anni dopo le tragedia

La tragedia che non può mai essere dimenticata

Il 9 ottobre 1963 sembrava tutto calmo e tranquillo, un giorno normale nei paesi di montagna che sono arroccati vicino al Vajont. All’improvviso tutto venne spezzato via, tutto si riempì di fango e macerie e molti paesi furono colpiti in pieno da quella valanga che si rivelò un vero incubo di morte e dolore.

Longarone, Erto e Casso furono i più colpiti; alla fine di questi paesini di montagna non rimaneva più niente e bisognava solo tirare fuori le vittime e rendere loro l’ultimo saluto in un modo dignitoso. La tragedia del Vajont fu davvero una delle più terribili disgrazie che colpirono una delle zone più belle della montagna. Molte le testimonianze ancora visibili dei danni provocati così come molti sono i monumenti a commemorare quel tragico evento tra cui anche la Ferrata della Memoria che sale a fianco della famigerata diga.

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Il monte Toc

Il Vajont, un fiume placido che si riversava in un lago voluto dalla Sade, bacino idroelettrico che s’insinuava lentamente nelle fondamenta del monte Toc. Guarda caso, ‘patoc’, in friulano, significa marcio. Gli abitanti dissero che la Sade aveva fatto tanti lavori senza autorizzazione e che la scelta del monte Toc era sbagliata; una diga in quel luogo avrebbe portato distruzione e morte.

La Sade non aveva tenuto conto dei segnali che già c’erano stati e non aveva dato ascolto a chi sconsigliava di costruire una diga proprio in quel punto; infatti la diga tracimò allagando ogni cosa.

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Parlano Zaia e Debora Serracchiani

“Ci sono tragedie che non possono essere mai archiviate ed una di queste è il Vajont: abbiamo il dovere di piangere le vittime ma soprattutto di tenere bene a mente le responsabilità”, ha detto il presidente della Regione Veneto Luca Zaia. Il governatore ha dichiarato che “non fu una calamità” ma “una tragedia annunciata, temuta e negata fino all’ultimo anche da chi doveva controllare”. Un “disastro ambientale e umano, che poteva essere evitato”. “Fare memoria di quella tragedia significa assumere la consapevolezza che l’interesse del territorio non può mai essere piegato a quello degli affari e che la salvaguardia delle persone e dell’ambiente è la prima responsabilità della ‘buona’ amministrazione e della ‘buona’ politica”.

In un tweet su Internet, Deborah Serracchiani ha ricordato che nella tragedia “persero la vita 2000 persone, tra cui 487 bambini e ragazzi sotto i 15 anni. Il Friuli Venezia Giulia non dimentica”.