Il caso marò: il fallimento della politica italiana e l’assenza dell’Europa

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A tre anni dall’arresto dei due fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, la querelle tra l’Italia e l’India appare ben lungi dal trovare una soluzione.

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Ancora in assenza di un capo di imputazione, la Corte di giustizia indiana chiede il ritorno di Latorre, attualmente in Italia per motivi di salute, e rifiuta il permesso a Girone di rientrare per trascorrere le festività natalizie con i propri cari.

Oltre trenta mesi dopo la morte di due persone che il governo indiano sostiene essere pescatori uccisi a causa di alcuni colpi esplosi dal cargo Enrica Lexie, la politica italiana incassa un nuovo duro colpo dall’India, mettendo a nudo la situazione di impasse che il governo non riesce a sbloccare.

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La vicenda dei due militari, al vaglio dell’attuale esecutivo Renzi, è stata gestita da ben tre governi italiani.

Il primo esecutivo ad essere coinvolto dalla vicenda fu quello guidato da Monti.

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La gestione del caso si dimostrò essere estremamente incerta. I tentennamenti dell’esecutivo con a capo il professore della Bocconi aggravarono la posizione dei due militari. Paradossale in tal senso fu il passo indietro dell’esecutivo dopo che l’allora ministro degli esteri Terzi escluse il ritorno in India dei due marò, per poi cedere di fronte alla rappresaglia indiana che impose, in palese violazione della convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, la limitazione della libertà personale dell’ambasciatore Mancini. Dieci giorno dopo le esternazioni del ministro, l’esecutivo italiano dichiarò che i due fucilieri di marina avrebbero fatto ritorno in India. Risibile la motivazione del ripensamento: “il Governo ha richiesto e ottenuto dall’India assicurazioni scritte sul trattamento riservato ai Fucilieri di Marina e sulla tutela dei loro diritti fondamentali”, essendo l’esecutivo Monti in possesso di “una carta scritta” in cui New Delhi escludeva l’applicazione della pena di morte. Tale circostanza, subito smentita dal governo indiano, è del tutto irrilevante per il nostro ordinamento avendo una sentenza della Consulta escluso la possibilità di estradare una persona in un paese in cui si applica, per il reato in contestazione, la pena di morte anche a fronte di garanzia di non applicazione della stessa.

Il secondo governo chiamato in causa fu quella a guida Letta.

Totalmente evanescente si dimostrò l’esecutivo in ordine alla risoluzione di tale questione. Gli interventi del primo ministro e del suo ministro degli esteri, Emma Bonino, si concentrarono sull’ottenimento di un arbitrato internazionale. L’esecutivo, tuttavia, non comprese come la questione dei due fucilieri italiani si fosse ormai intrecciata con le elezioni interne in India, per cui una eventuale linea “morbida” sarebbe state pregiudizievole per gli interessi degli schieramenti politici indiani che si dimostrarono irremovibili.

Passiamo all’ultimo dei nostri governi: l’esecutivo Renzi.

“Ho chiamato i marò, faremo semplicemente di tutto”. Tuonò Renzi all’indomani della sua investitura a primo ministro. “Primo pensiero per i marò”. Affermò il neo ministro della difesa Pinotti. Queste le dichiarazioni nel febbraio 2014, al momento della nascita dell’attuale governo. Prese di posizione decise, piglio battagliero, ai quali fa da contrappeso un graduale lassismo, rammollimento degli esponenti politici e governativi, che si rianimano solo in occasione di qualche nuova presa di posizione del governo indiano, per poi riassopirsi nuovamente. Una sorta di elettrocardiogramma, una montagna russa, in cui la fase acuta, l’alzare i toni, appare sempre strumentale a logiche interne di tipo elettorale e di mantenimento del consenso più che agli interessi dei nostri marò.

Ma quale la posizione dell’Unione Europea? Anche lì tira aria di bonaccia, silenzio ed immobilismo scandiscono l’atteggiamento dell’U.E.. Eppure gli ultimi sei mesi sono stati segnati dalla presidenza italiana del Consiglio Europeo, inoltre possiamo fregiarci della presenza di un nostro rappresentate quale alto rappresentate agli affari esteri in Commissione, la Mogherini, fiore all’occhiello sbandierato da Renzi e Napolitano. Ebbene, né il nostro attivo premier in qualità di presidente del Consiglio Europeo, né la nostra lady Pesc sono riusciti ad ottenere un intervento deciso, una presa di posizione netta, una semplice nota da parte della Comunità Europea, sottolineando ancor di più l’assoluta evanescenza della stessa sul piano della politica internazionale, e l’inutilità della carica della Mogherini gentilmente concessa dalla cancelleria tedesca.

La vicenda dei due marò mette in luce l’inadeguatezza, l’inconcludenza della nostra classe politica, incapace di risolvere la questione autonomamente nonché di trovare supporto internazionale. Non si dimentichi che l’Italia, oltre ad essere inserita nella Comunità europea quale membro fondatore, fa parte altresì della NATO con un forte impegno in missioni militari all’estero. Tale esperienza conferma, purtroppo, lo scarsissimo peso del nostro paese a livello internazionale. Questa vicenda si aggiunge ad una lunga lista di “figuracce”: basti pensare al caso Battisti in cui Brasile e Francia in sinergia si fecero beffe dell’Italia consentendo all’ex terrorista rosso di sottrarsi alla giustizia italiana; il caso del Cermis, il caso Calipari in Iraq ecc..

Tale crisi appare una spirale senza fine, un parossismo kafkiano, un orizzonte degli eventi che disintegra il nostro peso a livello internazionale. Anche qui, purtroppo, l’imputato numero uno è la politica e i partiti, la cui perdita di credibilità, oltre all’interno del paese, sta tracimando al di fuori dei confini nazionali.

Sembra necessario un nuovo ruolo del nostro paese nel contesto internazionale, un cambiamento di rotta che richiede una rinnovazione della nostra classe dirigente, in assenza della quale lo svilimento a livello internazionale dell’Italia non appare altro che la chiusura del cerchio della crisi che il nostro paese sta vivendo.