La Prima Guerra Mondiale, da alcuni storici considerata la Quarta Guerra d’Indipendenza, seppe raccontare episodi di sacrificio ed eroismo, che esaltarono le nostre armi e testimoniarono il coraggio e la tenacia di un popolo nel difendere i confini.
L’inno di quel tempo fu “La canzone del Piave” che nella lirica “Era un presagio dolce e lusinghiero: il Piave mormorò “Non passa lo straniero!” rimarca proprio questa indomita volontà di non cedere a qualsiasi costo.
Uno degli episodi più esaltanti, tra i molti, fu quella della resistenza italiana a Passo Buole, che in seguito fu chiamata la “Termopili d’Italia”.Nei bollettini del Comando Supremo, sobri ma eloquenti, la lotta combattutasi al Coni Zugna e al Passo Buole dal 20 maggio al 1° giugno, assume la forza di un poema epico:
“….ieri, nuovi violenti attacchi preparati e sostenuti con intenso bombardamento dei grossi calibri e condotti con bravura dall’avversario, furono rigettati con lo sterminio delle colonne assalitrici. La lotta ebbe maggior durata e accanimento verso il Passo di Buole, dove le animose fanterie del 62 (brigata Sicilia) e del 207° (brigata Taro) saltarono fuori più volte dalle trincee, ricacciando l’avversario alla baionetta” (bollettino del 31 maggio). – “….nel pomeriggio l’avversario tentò ancora contro il Passo di Buole un attacco di sorpresa, anche questo fu respinto dai nostri alla baionetta” (bollettino del 1° giugno).
In quei “respingimenti alla baionetta”, i nostri soldati, finite le munizioni, affrontarono il nemico solo con quell’arma e tante volte, avvinghiandosi ad esso, si buttarono giù dai dirupi.
Conclusa vittoriosamente la Guerra, le Nazioni che vi avevano partecipato vollero onorare i sacrifici e gli eroismi delle collettività nella salma di un anonimo combattente caduto con le armi in pugno. Anche l’Italia volle partecipare a questo rito sacro e commemorativo e l’idea di onorare una salma in rappresentanza di tutte risale in Italia al 1920, propugnata dal Generale Giulio Douhet.
Il relativo disegno di legge fu presentato alla Camera nel 1921 e, approvata la legge, il Ministero della Guerra diede incarico ad una commissione, che esplorò attentamente tutti i luoghi nei quali si era combattuto, dal Carso agli Altipiani, dalle foci del Piave al Montello. Questa ricerca fu condotta in modo che fra i resti raccolti ve ne potessero anche essere di reparti di sbarco della Marina e dell’Aviazione.
Fu scelto il corpo di un milite ignoto per ognuna delle seguenti zone: Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, San Michele e tratto da Castagnevizza al mare; le undici salme – una sola delle quali sarebbe stata tumulata a Roma al Vittoriano – furono sistemate a Gorizia, da dove furono poi trasportate nella Basilica di Aquileia il 28 ottobre 1921. Nella Basilica, fu scelta quella destinata a rappresentare il sacrificio di seicentomila soldati italiani caduti per la Patria
A compiere questa scelta fu eletta Maria Bergamas di Gradisca d’Isonzo, una popolana il cui figlio Antonio si era arruolato nelle armi italiane sotto falso nome, essendo suddito austro-ungarico. Antonio Bergamas cadde in combattimento nel 1916 e la salma dell’Ufficiale fu recuperata al termine dello scontro e tumulata. Tuttavia, Il S.Ten. fu poi dichiarato disperso, quando un violento tiro di artiglieria sconvolse l’area dove era stato sepolto e, conseguentemente, non potendosi più riconoscere la sepoltura, l’Ufficiale fu giuridicamente dichiarato disperso. La bara prescelta fu collocata sull’affusto di un cannone e, accompagnata da reduci decorati al valore e più volte feriti, fu deposta in un carro ferroviario. Le altre dieci salme rimaste ad Aquileia, furono invece sepolte nel cimitero di guerra che circonda il tempio romano.
Il viaggio del feretro si compì sulla linea Aquileia-Venezia-Bologna-Firenze-Roma a velocità estremamente moderata, in modo che presso ciascuna stazione lungo il tragitto, anche la più piccola, la popolazione potesse onorare il caduto. L’epilogo di questa cerimonia avvenne nella Capitale. Tutte le rappresentanze dei combattenti, delle vedove e delle madri dei caduti, con il Re Vittorio Emanuele III in testa, e le bandiere di tutti i reggimenti mossero incontro al Milite Ignoto, che da un gruppo di decorati di medaglia d’oro fu portato a S. Maria degli Angeli. Nel sacello posto sull’Altare della Patria, il Milite Ignoto veniva tumulato il 4 novembre 1921, cent’anni fa.
A lui, e in rappresentanza di tutti i soldati, fu concessa la medaglia d’oro con questa motivazione:
“Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz’altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della Patria.”
Massimo Carpegna