I cori del primo Verdi e il Risorgimento

L'opera lirica, il primo strumento comunicativo di Mass-Media per veicolare l'anelito all'unione e alla libertà durante il Risorgimento italiano

Dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C. all’unità d’Italia, proclamata il 17 marzo 1861, il Bel Paese fu smembrato in tanti feudi, spesso in lotta tra loro e soggetti al governo più o meno diretto d’imperi stranieri. Ma le genti italiche, unite culturalmente e linguisticamente, anelavano già dal Rinascimento ad una forma d’identità nazionale riconosciuta e attendevano, come aveva indicato Machiavelli nel suo “Principe”, un uomo forte, un principe appunto, in grado di realizzare questo sogno e questa speranza.


Quell’uomo fu Vittorio Emanuele II di Savoia che nel discorso della Corona, all’apertura delle Camere il 10 gennaio 1859, pronunciò queste parole: “Il nostro Paese, piccolo per territorio, acquistò credito nei consigli d’Europa, perché grande per le idee che rappresenta, per le simpatie che esso ispira. Questa condizione non è scevra di pericoli, giacché nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi.”.

L’opera, il primo mass-media

Tra le varie forme di musica, nell’Ottocento il melodramma era quella che più di ogni altra suscitava interesse nelle diverse classi sociali, dal ricco al proletario, dal nobile al borghese. L’opera era un evento straordinario, un’occasione unica con la forza di suscitare vero impeto in un’epoca nella quale le possibilità d’intrattenimento erano assai poche. Proponeva varie espressioni artistiche unite in un unico scopo: far divertire o commuovere il pubblico, condurlo a vivere e far proprie le vicende dei personaggi sul palcoscenico e per questa ragione molti guardarono al melodramma quale uno dei mezzi più efficaci per far conoscere le nuove idee di libertà, d’indipendenza e di amor di patria. Oggi, questa stessa funzione, appartiene al cinema e non è un caso che tutti e tre i dittatori del secolo scorso – Hitler, Stalin e Mussolini – dedicarono molta attenzione alla Settima Arte.
Le opere che Giuseppe Verdi compose tra il 1842 e il 1849 esprimevano tutte una forte componente patriottica e furono accolte con entusiasmo dal pubblico. Le arie e i cori che parlavano di libertà erano cantati nelle piazze, nelle vie cittadine, costituendo una sorta di colonna sonora del Risorgimento. Prese forma il mito di Giuseppe Verdi che perdura tutt’oggi. Nell’occasione del Centenario della morte del Maestro, così disse il Presidente della Repubblica Azeglio Ciampi: “ Se l’Italia divenne una sola nazione, lo deve anche a lui e alla forza del suo linguaggio musicale”. Luchino Visconti nel film “Senso” ben descrive il clima patriottico e di sfida di quegli anni.

Il Nabucco

Quando l’opera “Nabucco” fu rappresentata alla Scala il 9 marzo 1842, Verdi aveva ventinove anni e, più che al desiderio di libertà dal giogo austriaco, pensava alla sua condizione di musicista e uomo: il melodramma precedente, “Un giorno di regno” era stato un fiasco e lui non era scivolato nella povertà assoluta solo grazie all’aiuto dell’amico Barezzi. Destino volle che la storia del “Nabucco” fosse quella di un popolo oppresso da un potere straniero e che Milano rappresentasse una delle città nelle quali il desiderio di libertà era più forte e radicato che in altre parti. Se la teoria per la quale l’arte non può disgiungersi dalla personale esperienza ed emozione è vera, dobbiamo credere che anche Verdi anelasse agli stessi ideali, poiché la musica del “Nabucco” sgorgò accesa, vivida e travolgente nel suo evocare il sentimento patriottico. Il coro “Va pensiero” divenne un inno che ancora oggi ricorda agli italiani la nascita della loro nazione e li emoziona. Ecco i primi due versi composti dal librettista Temistocle Solera:


Va, pensiero, sull’ali dorate;
va, ti posa sui clivi, sui colli,
ove olezzano tepide e molli
l’aure dolci del suolo natal!

Del Giordano le rive saluta,
di Sionne le torri atterrate.
O, mia patria, sì bella e perduta!
O, membranza, sì cara e fatal!

I Lombardi alla prima Crociata

L’opera successiva “I Lombardi alla prima Crociata” era simile al “Nabucco” sotto l’aspetto compositivo, presentando arie e pagine corali con un’analoga funzione drammatica. La storia narrava appunto della Crociata compiuta dai Lombardi e il riferimento a quella che gli italiani dovevano decidersi ad intraprendere contro gli austriaci furono evidenti e intenzionalmente marcati. Verdi utilizzò ogni mezzo musicale per infiammare il pubblico, trascinarlo nella vicenda che nascondeva ben altra avventura e il coinvolgimento che il Maestro ricercava fu pienamente raggiunto.
Protagonista del “Nabucco” e de “I Lombardi alla prima Crociata” è il popolo, impersonato dal coro, che però si presenta con un ruolo diverso nelle due opere. Una prova di questa diversità la offre il coro “O signore dal tetto natio”, simile al “Va pensiero” nel ruolo emotivo, ma antitetico nella psicologia di fondo. Nel “Va pensiero” gli Ebrei sognano la loro terra natia; nel coro de “I Lombardi”, i milanesi desiderano le loro belle colline, fresche e attraversate dai fiumi. Altro aspetto significativo è che nel “Va pensiero” gli Ebrei sono conquistati ed oppressi dagli Assiri, mentre nel coro de “I Lombardi” quest’ultimi sono ad Antiochia, soldati della Crociata e ricoprono il ruolo di conquistatori e liberatori del Santo Sepolcro. Quindi, il popolo non è più succube, ma prende in mano il proprio destino con arditezza. Queste le parole del coro O signore dal tetto natio:


O Signore, dal tetto natìo
ci chiamasti con santa promessa;
noi siam corsi all’invito d’un pio,
giubilando per l’aspro sentier.
Ma la fronte avvilita e dimessa
hanno i servi già baldi e valenti!
Deh! non far che ludibrio alle genti
sieno, Cristo, i tuoi fidi guerrier!
O fresc’aure volanti sui vaghi
ruscelletti dei prati lombardi!
Fonti eterne! purissimi laghi!…
O vigneti indorati dal sol!
Dono infausto, crudele è la mente
che vi pinge sì veri agli sguardi,
ed al labbro più dura e cocente
fa la sabbia d’un arido suol!…

La battaglia di Legnano

Con il librettista Salvatore Cammarano, sostenitore delle aspirazioni patriottiche, Verdi mise in scena “La battaglia di Legnano”. Questa opera, ch’ebbe non pochi problemi con la censura per il suo contenuto sovversivo, fu rappresentata la sera del 27 gennaio 1849, qualche giorno precedente la proclamazione dell’effimera Repubblica Romana, mentre il papa cercava rifugio a Gaeta. I cronisti dell’epoca raccontano come il popolo inneggiasse a Verdi e all’Italia per le strade, accennando ad alcuni brani dell’opera appena rappresentata e, in modo particolare, al coro che apre il primo atto.
Ecco il testo: «Viva Italia! Un sacro patto / Tutti stringe i figli suoi […] Viva Italia forte ed una / Colla spada e col pensier! / Questo suol che a noi fu cuna / Tomba sia dello stranier!».
Subito dopo la prima, Verdi tornò a Parigi, ma “La battaglia di Legnano” proseguì a raccogliere consensi e a coinvolgere i patrioti che nella possanza della musica trovavano ispirazione ed esortazione per le loro lotte.
Durante le Cinque giornate di Milano, J. Alexander von Hübner, ambasciatore e scrittore viennese, così scrisse: «In mezzo a questo caos di barricate, si pigiava una folla variopinta. Preti, molti col cappello a larghe tese, fregiato di coccarda tricolore; signori in giustacuore di velluto, borghesi portanti il cappello alla Calabrese o, in onore di Verdi, il cappello all’Ernani».
Nell’aprile di quello stesso anno, il 1848, Verdi scrisse al librettista Piave, che si era arruolato nella Guardia Nazionale, una lettera nella quale affermava chiaramente i suoi intendimenti. Questo uno stralcio della lettera: «… Sì, sì, ancora pochi anni, forse pochi mesi e l’Italia sarà libera. Una. Repubblicana! Cosa dovrebbe essere? Tu mi parli di musica! Cosa ti passa in corpo? Tu credi che io voglia ora occuparmi di note, di suoni? Non c’è né. Ci deve essere che una musica grata alle orecchie degli Italiani nel 1848: la musica del cannone!».

Ernani

Le parole del coro “Si ridesti il leon di Castiglia”, dal terzo atto dell’opera “Ernani” andata in scena il 9 marzo del 1844, infiammò il pubblico: “Noi fratelli in tal momento, stringa un patto un giuramento! Si ridesti il Leon di Castiglia e d’Iberia, ogni monte, ogni lito eco formi al tremendo ruggito, come un dì contro i mori oppressor…”
Ma i moti del 1848 si concluderanno con una sostanziale sconfitta degli ideali repubblicani e molti patrioti, tra i quali Verdi, passarono alla causa monarchica.
Il Cantore del Risorgimento Italiano così scrisse in una lettera dell’8 settembre 1859, inviata al podestà di Busseto: «L’onore che i miei concittadini vollero conferirmi nominandomi loro rappresentante all’Assemblea delle Provincie parmensi mi lusinga, e mi rende gratissimo. Se i miei scarsi talenti, i miei studi, l’arte che professo mi rendono poco atto a questa sorta d’uffizi, valga almeno il grande amore che ho portato e porto a questa nobile ed infelice Italia. Inutile il dire che io proclamerò in nome dei miei concittadini e mio: la caduta della Dinastia Borbonica; l’annessione al Piemonte; la Dittatura dell’illustre italiano Luigi Carlo Farini. Nell’annessione al Piemonte sta la futura grandezza e rigenerazione della patria comune. Chi sente scorrere nelle proprie vene sangue italiano deve volerla fortemente, costantemente; così sorgerà anche per noi il giorno in cui potremo dire di appartenere ad una grande e nobile nazione».


Cosa è rimasto di quel sogno? Di quell’ardore, che fece scrivere a Goffredo Mameli: “Fratelli d’Italia, stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte”? Forse nulla o ben poco. La politica che ci ha voluto uniti, oggi ci divide in fazioni contrapposte nelle quali l’appartenenza a quella o a quell’altra ideologia sovente zittisce il buon senso, l’onestà intellettuale a scapito di una nazione che potrebbe essere ancora la mente e il cuore della civiltà occidentale.


Massimo Carpegna

Massimo Carpegna
Massimo Carpegnahttp://www.massimocarpegna.com
Docente di Formazione Corale, Composizione Corale e di Musica e Cinema presso il Conservatorio Vecchi Tonelli di Modena e Carpi. Scrittore, collabora con numerose testate con editoriali di cultura, società e politica.