Con la bella stagione, aumenta in modo esponenziale l’attività in mare davanti alle coste della Libia: barchini che salpano, forse naufragano, navi ONG che recuperano i naufraghi, inizio di quell’assurdo tiro alla corda tra l’Italia, il resto d’Europa e le organizzazioni umanitarie. Pare ormai scontato che il redivivo “Che Guevara” in gonnella e rasta (la capitana Carola Rackete) abbia aperto una nuova via con l’appoggio della Magistratura. Il Ministro degli Interni tuona che i porti restano chiusi, la nave della ONG se ne frega dell’alt e delle manovre delle motovedette a impedirne l’attracco, entra in porto, la Polizia arresta il capitano e lo pone ai domiciliari, il GIP non conferma l’arresto e lo libera, il Ministro degli Interni perde l’abbronzatura per assumere un verde bilioso. Ecco, questa è la storia che vedremo ripetersi fino a settembre con qualche variante. Magari la prossima nave farà finta di chiedere a Malta l’accesso al porto, ma riceverà un “No, grazie”; stessa risposta otterrà dalla Francia e dalla Spagna.
Il radar a compressione d’impulsi
Studiando il caso, però, ormai sono giunto alla conclusione che questa intricata situazione, all’apparenza irrisolvibile, in verità non la si voglia affrontare, perché conviene a molti. Intanto, si potrebbe tranquillamente smascherare chi salva dei naufraghi da chi fa un semplice trasbordo e quindi favorisce l’immigrazione clandestina. Non ho notizia che le nostre forze di mare ne siano dotate, ma oggi esistono dei radar marini a compressione d’impulsi in grado di visualizzare bersagli piccoli, invisibili ai normali radar. Per farvi un esempio, questa tipologia di apparecchiatura individua un kayak e lo distingue con precisione, anche se posizionato nella vicinanza di echi forti prodotti da una nave.
La domanda è: perché non mandiamo alcune unità del nostro naviglio militare a controllare il tratto di mare davanti alle coste libiche? Se il radar traccia due imbarcazioni che s’avvicinano e poi si allontanano, nessuno è naufragato e si è compiuto un atto criminale. Nel caso che i barchini siano due, con il secondo adibito a recuperare il motore e gli scafisti dal primo, riuscire a individuare le imbarcazioni e con una manovra a tenaglia, in collaborazione della Guardia Costiera libica, chiuderebbe di netto questo traffico di merce umana. A questo proposito, si riporta una tabella con le sanzioni previste dall’ex art. 12 T.U. 289/1998, dopo le modifiche apportate dalla L. n. 189/2002.
A ciò si deve aggiungere che tutte le navi delle ONG sono noleggiate ad un costo medio di 500 mila dollari ogni mese, escluso vettovagliamenti, nafta, compenso equipaggio e comandante; il suo sequestro comporta un danno economico non irrilevante, per chi ha voluto fare tale investimento; in questo modo, si sgombrerebbe il campo da chi ha attivato un business criminale, offrendosi quale “radio taxi umanitario” e che con l’umanità non c’entra nulla.
Il Trattato di Dublino
Sulle restanti situazioni, l’applicazione del Trattato di Dublino è già la risposta alle istanze dell’Italia, che non vuole essere l’unico hotspot dell’Europa. Come spiegato nell’articolo Migranti: l’Italia può impedire l’accesso delle navi? un’imbarcazione che batte bandiera tedesca è territorio tedesco in qualsiasi mare si trovi e quindi, per le indicazioni del Trattato di Dublino, un migrante salvato dalle acque e che mette piede sulla nave “Alan Kurdi” che batte bandiera tedesca, per fare un esempio, è entrato in Germania ed è questa nazione che deve valutare la richiesta di profugo.
Ricordate, alcuni giorni fa, il caso scandaloso di migranti sedati e rispediti dalla Germania in Italia perché il nostro Paese era stato il primo approdo? Ricordate il caso altrettanto scandaloso del 9 febbraio, con una donna incinta proveniente dalla Nigeria e rispedita in Italia dalle autorità francesi? La donna morì, ma riuscì ugualmente a partorire un maschietto. A quanto pare, il “rispedire al mittente” i migranti, non è una difficoltà per nessuno dei nostri partner europei, che neppure si pongono il problema d’abbandonarli in un bosco sotto la neve, salvo redarguirci e accusarci di mancanza d’umanità. Nell’ambito della legge, mandiamo in carcere i tanti finti “solidali con le braccia aperte” e accompagniamo civilmente con un aereo, dopo averli rifocillati e curati, i richiedenti asilo alle sedi stabilite e cioè in quei Paesi che sono stati il loro primo approdo formale: la nave chi che li ha raccolti.
I truci proclami con la mascella contratta non servono a risolvere la questione e, visto la possibilità di procedere diversamente e con efficacia, viene il sospetto che questo stato d’emergenza si voglia mantenere con uno scopo politico: la Lega ha triplicato il consenso, grazie all’immigrazione, e la Sinistra, con le sue fiaccolate e presenza dei suoi maggiori esponenti sulle navi ONG che, guarda caso, incappano in un naufragio, trova il modo per interrompere l’inutile balbettio.
Massimo Carpegna