La strategia prudente dell’Iran dopo la morte di Soleimani

Il lancio di missili iraniani sono una risposta blanda alla morte del generale Soleimani. Non si escludono altre mosse a cavallo tra forza e diplomazia.

La strategia prudente dell’Iran dopo la morte di Qasem Soleimani, numero 2 del regime e generale della guardia rivoluzionaria risponde a precise esigenze.

La strategia prudente dell’Iran dopo la morte di Soleimani. Evitare il passo più lungo della gamba.

Teheran ha lanciato l’operazione “Soleimani martire“, ma la prima reazione militare ha provocato molto rumore e pochi cocci.

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L’attenzione resta, in ogni caso, altissima in tutto il Medio Oriente, perché non si escludono altre iniziative iraniane. I funerali di Suleimani hanno mobilitato massicciamente regime e gran parte dell’opinione pubblica e la guida suprema Ali Khamenei non poteva perdere credibilità senza reagire.

Del resto, gli aspetti nazionali e politici si sono intrecciati con i sentimenti religiosi, visto che l’Iran è una teocrazia sciita. Soleimani quindi è un eroe, secondo la propaganda iraniana, e la sua morte è simboleggiata dalla bandiera rossa issata nella città santa di Qom, simbolo del sangue versato dai martiri.

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La strategia prudente dell’Iran dopo la morte di Soleimani. Quei missili poco mirati e danni contenuti.

A questo punto, il regime iraniano si pone il problema della reazione politica e militare. Minacciare sfracelli è stata la prima operazione comunicativa lanciata da Khamenei, ma il lancio di missili su due basi irachene che ospitano anche militari americani è avvenuto, come blanda rappresaglia.

In pratica gli Stati Uniti e loro alleati hanno avuto tutto il tempo di spostare le truppe, rifugiarsi nei bunker e lasciare che i missili piovessero come da copione. In effetti, l’annuncio del regime iraniano di aver ucciso almeno 80 soldati Usa non ha il minimo riscontro anche perché, in caso contrario, Trump avrebbe risposto con durezza.

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Secondo le dichiarazioni di ufficiali del Pentagono, raccolte dall’Associated Press, gli iraniani hanno infatti lanciato 16 missili a corto raggio da tre diverse basi. Undici hanno colpito senza troppi danni la base aerea di Ain Al Asad e uno è caduto a Irbil, nella regione semiautonoma del Kurdistan iracheno. Quattro sono finiti fuor bersaglio e si conferma l’assenza di vittime.

La strategia prudente dell’Iran dopo la morte di Soleimani. i rischi dell’escalation

L’Iran, in effetti, teme che gli Stati Uniti possano reagire ad attacchi su scala maggiore neutralizzando marina e aviazione in sole 48 ore. Per questo, le unità navali regolari e dei Pasdaran sono concepite soprattutto per azioni di guerriglia e imboscate rapide, evitando scontri convenzionali devastanti.

Ovviamente, il rischio è che l’Iran comprenda poco la personalità di Donald Trump, businessman per formazione, abituato ad andare al sodo nelle trattative, come ha dimostrato nel contrasto sui dazi con la Cina, e poco propenso a subire le strategie di logoramento iraniane.

La strategia prudente dell’Iran dopo la morte di Soleimani. L’ipotetico uso dei droni

Donald Trump ha comunque eliminato il generale Soleimani che era, in sintesi, uno dei più importanti strateghi militari dell’area, nonché guida delle milizie al Quds, il corpo speciale delle Guardie rivoluzionarie, incaricato di compiere azioni militari all’estero.

Come riportato da Corriere della Sera e Cnn, il Pentagono è in allerta per un possibile attacco con velivoli senza pilota. Le basi e le installazioni americane nella regione avrebbero già ricevuto indicazioni per adottare contromisure difensive, compreso l’invio di sei bombardieri B52 nella base di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano.

I droni iraniani sono velivoli senza pilota, già usati a settembre per colpire siti petroliferi in Arabia Saudita, inoltre il generale Soleimani è stato ucciso da un drone e la Repubblica islamica potrebbe utilizzare lo stesso metodo, come ritorsione simbolica.

Le paure dell’Europa e la cautela iraniana

La deterrenza americana nell’area ha un peso da non sottovalutare ma, al tempo stesso, le paure europee si concentrano sull’arsenale missilistico degli Ayatollah che hanno una gittata tra 300 e 2.500 chilometri.

Questi ultimi potrebbero quindi raggiungere obiettivi in Africa e anche nei Balcani e Italia meridionale. Da qui gli inviti alla prudenza anche se, a dire il vero, paesi come la Francia hanno condannato più l’attacco iraniano alle basi militari in Iraq dell’azione di Trump.

Tuttavia l’Iran sembra evitare mosse azzardate, perché il mondo islamico sunnita ha sempre visto il generale Soleimani come un nemico dichiarato e l’Iran principale responsabile della continua tensione nel Golfo Persico.

L’isolamento politico dell’Iran

Dopo l’uccisione del generale Soleimani, Trump ha detto di non puntare a un cambio di regime in Iran ma di aver colpito la mente organizzatrice di molti attacchi terroristici e destabilizzanti, sia in Iraq, sia in gran parte del Medio Oriente e Afghanistan.

L’Iran ha risposto “con uno schiaffo sul volto degli americani” come ha rimarcato la guida suprema Khamenei, ma, in ogni caso, l’Iran ha subito un colpo decisivo, non tanto nella sua strategia, quanto nella sua immagine di potenza in grado di controllare la regione o di provare a sovvertire l’ordine voluto da Stati Uniti, Israele e sauditi.

L’analisi di Lorenzo Vita

Come ricorda Lorenzo Vita su Inside over, il generale Soleimani era l’artefice dell’edificazione della Mezzaluna sciita, estesa tra Iran, Iraq, Siria e Libano e ora Teheran rischia una seria battuta d’arresto nelle sue mire espansionistiche.

Minacce, vendette e possibili raid non cancellano il fatto che nessun leader mondiale ha condannato gravemente il gesto di aver ucciso Soleimani né ha offerto sostegno e aiuto all’Iran.

Di conseguenza, La Repubblica islamica ha ricevuto solo richieste di frenare possibili escalation, perché gran parte del Medio Oriente non si è sganciato dall’influenza statunitense e non considera conveniente farlo.

L’Iran era, d’altra parte, considerato da sempre il nemico del mondo sunnita legato alle monarchie del Golfo, così come non è mai stato un vero partner strategico della Turchia, pur con una certa affinità tra Recep Tayyp Erdogan e Hassan Rouhani.

Al silenzio arabo si aggiunge quello turco, perché Erdogan ora pensa di accrescere il suo ruolo nella regione, evitando che l’Iran possa prendere il sopravvento a partire dalla Siria, in una sorta di braccio di ferro tra visione “ottomana” contrapposta a quella “persiana”.

Il ruolo della Russia

L’analisi della giornalista Futura d’Aprile conclude che gli sviluppi in Medio Oriente offrono alla fine ampi spazi di manovra anche al presidente russo Vladimir Putin.

Con questo obiettivo, ll leader russo è in effetti arrivato il 7 gennaio a Damasco per incontrare il presidente siriano Bashar Al Assad nel centro di comando delle forze russe, al fine di rimarcare il peso di Mosca nel settore siriano.

Al di là del vertice sulla situazione siriana, la presenza di Putin rimarca, in altre parole, l’intenzione russa di cambiare passo dopo la morte del generale iraniano.

Soleimani era, in effetti, capo della brigata Al Quds dei Pasdaran e ricopriva un ruolo importante nel sistema difensivo di Assad come suo alleato strategico.

Putin può approfittare della debolezza iraniana in Siria

Si può quindi pensare che la perdita di Soleimani provochi un indebolimento dell’influenza iraniana in Siria e Putin può approfittarne riaffermando la presenza della Russia e il suo sostegno al governo di Bashar al Assad, con cui ha accordi per lo sfruttamento energetico e la cooperazione militare.

Il ruolo di mediatore che Putin si è ritagliato anche con Iran e Turchia non esclude, come punto finale, il consolidamento della presenza russa in Siria, anche a danno degli altri protagonisti sulla scena, che hanno disegni egemonici in Medio Oriente in contrasto con quelli di Mosca.

La mano tesa di Trump all’Iran

Donald Trump conta di inserirsi come regista di un cambio generale di strategia nell’intera regione, offrendo cioè all’Iran un accordo dopo che Teheran ha lanciato i missili sulle basi irachene.

Per Trump era una risposta prevista, come spiegato dall’Associated Press, e ritiene chiuso l’incidente, limitandosi infine a rilanciare generiche sanzioni.

Nel suo discorso pubblico dopo la rappresaglia iraniana, non si pente di aver eliminato un pericoloso avversario per gli interessi americani come il generale Soleimani ma, in ogni modo, è “pronto ad abbracciare la pace con chiunque la cerchi seriamente“.

Trump fa sfoggio di ottimismo affermando che: “Iran appears to be standing down, which is a good thing for all parties concerned and a very good thing for the world.”

Se davvero gli iraniani si stiano segnatamente ritirando e ciò sia una buona notizia per tutte le parti in causa e il mondo intero è ancora da verificare.

Ma, in ogni caso, il rafforzamento delle misure militari procede di pari passo con la diplomazia che sviluppa un ampio ventaglio di iniziative, spesso dietro le quinte.

Il fronte interno iraniano è meno compatto del previsto

A chiudere il cerchio sulla strategia prudente dell’Iran dopo la morte di S0leimani, ci aiuta l’inviata del Corriere della Sera Viviana Mazza che è quindi riuscita ad tastare il polso degli iraniani a Teheran durante i funerali del generale dei Pasdaran.

La giornalista precisa, in tutta onestà, che solo avvicinando una per una le persone che urlano “Vendetta e “Morte all’America e a Israele” ci si accorge che la maggioranza spera, a dire il vero, che la guerra non scoppi sul serio. In particolare, con le scuole e gli asili chiusi, la folla oceanica si è ingrossata con i bambini che le famiglie hanno dovuto portarsi dietro.

Le testimonianze dirette raccolte da Viviana Mazza

Qualche testimonianza è difatti da ricordare:

«Non sono andato, vedo troppe contraddizioni», testimonia Morteza. «Fino a qualche giorno fa la gente parlava dei problemi economici, ma oggi tutti sono erano ai funerali perché il nostro governo spinge il popolo all’emotività.

Io temo la guerra: alle autorità non importa del popolo, sono pronte a tollerare la rovina di gran parte del Paese pur di restare al potere in una sua piccola parte».

«Noi sì, siamo andati ai funerali», dice un altro capofamiglia. Poi aggiunge: «Non è vero. Ma la maggior parte della gente non dice la verità, perché ha paura delle conseguenze.

Io sono un impiegato comunale, ci hanno detto che oggi gli uffici avrebbero chiuso perché volevano che andassimo alla cerimonia. I dirigenti devono farlo, perché hanno paura di perdere il posto, ma gli impiegati come me no. Comunque, siamo usciti di casa, per dire che abbiamo partecipato».

Nonostante le critiche alle sanzioni americane, si capisce quindi che non tutto fila liscio sul fronte interno e, a dire il vero, Ali Khamanei ha dovuto porgere le condoglianze alle famiglie delle 56 vittime della calca, durante i funerali, promettendo l’apertura di un’inchiesta sull’accaduto.


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