Gli ultimi attentati terroristici in Francia e in Austria alimentano il dibattito, gli esperti di studi strategici e gli analisti geopolitici notano però che l’integralismo islamico in crescita e l’assenza di una strategia europea comune creano un binomio esplosivo per la sicurezza del vecchio continente.
L’integralismo islamico monta in Europa
La recente tragedia di Nizza, provocata da un tunisino che ha sgozzato tre persone nella cattedrale e l’attentato islamico con 4 vittime e 17 feriti nel centro di Vienna, ad opera di un immigrato albanese, sono parte di un unico disegno per destabilizzare, disseminare terrore e ottenere massima visibilità mediatica, mentre tutto il mondo è ancora alle prese con la recrudescenza del Covid-19 e le sue implicazioni sanitarie ed economiche.
l’Isis ha perso terreno tra Siria e Iraq, ma è in grado di aizzare nuovi fanatici che, in gruppo o come lupi solitari, colpiscono con coltelli o armi automatiche nel cuore delle nostre città e, a questo proposito, è illuminante l’intervista di Emanuela Giacca a Gianandrea Gaiani, direttore della rivista Analisi Difesa, pubblicata su Italia Oggi.
Tra 29 ottobre e 2 novembre l’Europa è infatti ripiombata nel caos del terrorismo integralista islamico, ma si tratta solo degli ultimi episodi di una lunga serie che Gaiani non fatica a ricostruire a partire dalla situazione francese: il ministro dell’interno Christophe Castaner ha infatti confermato che nel suo Paese, ci sono almeno ottomila terroristi pronti a scattare a un semplice comando ma, nonostante i duri colpi subiti, Parigi ha sventato 61 attentati dal 2013, compreso uno su vasta scala che doveva avvenire a gennaio di quest’anno.
I punti chiave dell’analisi di Gianandrea Gaiani
In pratica, ricorda Gaiani, sono 20 anni che l’Europa è in guerra con l’estremismo islamico ma la Francia ha fatto da apripista già negli anni novanta quando subiva gli attacchi del gruppo islamico armato (Gia). Riassumendo i punti dolenti che lo studioso ha messo in evidenza alla giornalista Giacca si possono evidenziare una serie di debolezze che facilitano l’azione dell’Islam radicale:
- Decine di banlieues fuori controllo e governate largamente dalla Sharia che tende a estromettere la sovranità francese dalle periferie per poi estendere la sfera d’indottrinamento integralista
- Lo scontro crescente tra governo francese e la Turchia di Recep Tayyp Erdogan che soffia sul fuoco
- Necessità d’incrementare la presenza dell’esercito, da tremila a settemila militari per compiti di ordine pubblico, mentre sinagoghe e chiese cristiane sono sempre più nel mirino
- Difficoltà a controllare radicalizzati e foreign fighters che sostengono l’Isis, come l’attentatore di Vienna, che scontano pene detentive lievi e poi tornano in azione più fanatici di prima
- Oltre agli integralisti di origine mediorientale e magrebina, aumenta il rischio di attacchi da parte di immigrati provenienti da Kosovo, Macedonia e Albania, accesi sostenitori della Jihad.
La situazione italiana
Secondo Gaiani, l’Italia è in una posizione diversa da Francia e altri Paesi per l’efficienza dei nostri servizi di sicurezza, ma anche per un approccio “soft” in zona di guerra contro l’Isis dove i nostri soldati hanno funzione di istruttori e gli aerei fanno missioni di ricognizione, ci rende probabilmente meno esposti. L’aspetto militare è importante perché Belgio, Olanda e Danimarca, pur avendo forze armate molto meno consistenti della nostra, hanno bombardato pesantemente le milizie Isis in Iraq e sono quindi avversari più ostili.
Per il momento, ci differenziamo dalla Francia, non solo per il ruolo militare meno attivo, ma anche per il minor numero di potenziali terroristi e fiancheggiatori da controllare e per l’assenza di intere periferie fuori controllo, come avviene nel Paese transalpino.
L’assenza di strategia comune europea
Ultima nota dolente è la mancanza di una strategia comune in Europa per contrastare l’integralismo islamico e politiche migratorie poco rigorose, a partire dall’Italia, che non argina il fenomeno come dovrebbe dato che, dal 2013, sono entrati illegalmente nel nostro territorio 750.000 immigrati, soprattutto da Paesi islamici.
La Francia gioca una partita tutta sua in nome della grandeur nazionale, con proiezione all’estero in tutti i fronti caldi, ma difende con molta fatica i principi della Repubblica, nata dalla rivoluzione, e la laicità dello stato di fronte alla cultura islamica radicale che non distingue tra religione e politica e sogna la sostituzione delle leggi europee con la sharia.
Le misure messe in campo dal presidente Emmanuel Macron per arginare l’integralismo, a partire dall’educazione scolastica e più stretto controllo delle associazioni e organizzazioni volte all’indottrinamento radicalizzato, fanno il paio con la stretta del governo di Vienna su Iman e moschee integraliste ma l’Austria soffre, come gli altri Paesi europei, per l’indottrinamento nelle carceri, basato sulle teorie salafite, che ispirano anche l’azione dell’Isis.
La Turchia fa pressione su Germania e Italia
Non è messa meglio la Germania, che non brilla per forza militare, ed evita di andare ai ferri corti con Erdogan, avendo tre milioni di immigrati turchi in casa, ma anche l’Italia ha le sue grane con il presidente turco, che ha messo saldamente i piedi in Libia, minacciando anche i nostri interessi energetici. Ecco perché l’integralismo islamico in crescita e l’assenza di una strategia europea creano un binomio esplosivo.
A tutto questo si aggiunge il proselitismo della Fratellanza musulmana, organizzazione islamista internazionale, molto attiva a livello politico e finanziata da Qatar e Turchia, che sostiene spesso posizioni radicali, al punto che Egitto, Russia, Siria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain la considerano fuori legge. In pratica, l’Europa non farà molta strada se ognuno marcia per conto suo e non si elaborano strategie condivise. L’integralismo islamico sentitamente ringrazia.