Soheil Arabi, il blogger iraniano non sarà giustiziato

Arabi

La pressione internazionale è servita a far cambiare idea al regime iraniano: il blogger e fotografo Soheil Arabi non sarà giustiziato. Tuttavia i guai non sono ancora finiti per lui, poiché verrà “trovato” un altro capo d’imputazione e rischia 74 frustate.

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Il giovane, 30 anni, sposato con Nastaran e padre di Roujan, 5 anni (con lui nella foto), è stato arrestato nel novembre 2013 con l’accusa di violenza sessuale, accusa che serviva in realtà per mascherare quella reale: aver “offeso il Profeta dell’islam”, Maometto, ed alcuni politici iraniani con qualche suo scritto. Soheil, detenuto nel famigerato carcere di Evin a Teheran, dove si trovano molti prigionieri politici, è stato condannato a morte il 26 novembre 2014.

Sua moglie aveva affermato che la sentenza in primo grado era arrivata dopo la confessione dell’imputato, ma questa era stata estorta con pressioni psicologiche e l’uomo aveva potuto incontrare il suo legale solo poco prima del processo. La Corte suprema, che avrebbe dovuto soltanto confermare o modificare la condanna, vi ha aggiunto il reato di “seminare corruzione sulla terra”, il che implica la pena di morte secondo un’interpretazione coranica. Inoltre, i magistrati hanno respinto le dichiarazioni della difesa, ovvero che Soheil aveva solo condiviso sui social network i post di altri.

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In suo favore si sono mosse organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch ed Amnesty International. Il solo Change.org ha raccolto via web oltre 240.000 firme.

Ora l’ambasciatore iraniano in Italia ha fatto sapere al senatore Luigi Manconi, il quale si è adoperato come mediatore nella vicenda, che il capo d’imputazione contro Soheil Arabi verrà cambiato, ma non si sa ancora come.  Il giovane potrebbe essere accusato di aver insultato Maometto mentre era ubriaco o appunto citando altri e in questo caso rischierebbe 74 frustate in base all’art. 263 del codice penale della Repubblica Islamica.