E’ un dato di fatto che il partito comunista in Italia sia crollato con la morte di Berlinguer. E che il comunismo non avrà più il largo consenso degli anni settanta, non nelle forme che le generazioni di quei tempi hanno conosciuto. Allora perché lo spirito del grande segretario del PCI continua a bussare alle nostre porte chiedendo di essere ascoltato? Cosa avrà ancora da dirci?
Enrico Berlinguer, stimato profondamente anche dai suoi oppositori, lascia un’eredità politica molto complessa. Un uomo che fece dell’onestà e della determinazione gli strumenti efficaci per perseguire gli obiettivi del partito. In questi ultimi mesi abbiamo sentito rievocare il suo nome, molto spesso impropriamente. Ma ricostruiamone nella sua interezza l’immagine, troppe volte banalizzata dalla propaganda per veicolare messaggi che poco o parzialmente gli appartenevano.
Dobbiamo innanzitutto premettere che il PCI si distanziò ben presto dal modello sovietico, nonostante mantenne i contatti con il Cremlino fino agli anni ottanta. Già Togliatti aveva parlato nel 45 della diversità italiana. Lo ribadirà Berlinguer nel 69 durante la conferenza mondiale dei partiti comunisti in un celebre discorso affermando che “il socialismo si esprime in modi diversi in ogni paese”; dura fu anche la condanna dell’intervento armato sovietico in Cecoslovacchia, l’anno precedente. Nell’81 arrivò la scomunica definitiva del PCI e del suo leader, che ormai era arrivato a negare la necessità di una dittatura del proletariato, e ad attaccare direttamente la deriva autoritaria dell’URSS.
Il Berlinguer che abbiamo imparato a conoscere è completamente diverso da quel giovane rivoluzionario di Sassari che venne arrestato nel ’44 durante i moti del pane, antibadogliani. Lo ritroviamo negli anni 50 a capo della FGCI, un appassionato militante che credeva in Stalin (lo incontrò anche personalmente) e che raccoglieva ampi consensi tra i suoi coetanei. Poi il rapporto segreto di Cruscev, l’invasione dell’Ungheria, le crescenti responsabilità nel partito fino alla carica di segretario nel 1972. Per non parlare di tutte le dinamiche interne al PCI, la separazione dal “manifesto”, la difficile coesione tra le cosiddette “avanguardia” e retroguardia”. Una storia travagliata che lo portò a moderare quei tratti spigolosi del suo carattere, fino a quando emerse Enrico Berlinguer, un pacato ribelle, contraddistinto da una fermezza d’acciaio.
A lui si deve il successo elettorale prima del ’75 alle amministrative, e poi del ’76 alle politiche nazionali con ben il 34%, pari a 11 milioni di italiani. Oltre all’elettorato tipico della sinistra, Berlinguer aveva ricercato il consenso anche tra i cattolici e in questo senso aveva avviato il processo del compromesso storico con la Dc. Ne iniziò a parlare nel 1973, dalle colonne di “Rinascita”, in seguito al colpo di stato in Cile di Pinochet, ai danni del presidente Salvador Allende. L’evento portò Berlinguer a una riflessione unica nel panorama comunista. La condanna di massacri e del sanguinoso imperialismo americano furono scontati, meno l’apertura alla Dc, che facendo parte della Nato, riconobbe il governo militarista di Pinochet.
Il segretario del PCI parlò allora negativamente di un isolazionismo della sinistra che, visti i risultati, avrebbe rischiato di provocare una “spaccatura verticale nel paese”. Allo stesso tempo si rese conto che parte della Dc era corteggiata a destra dal MSI, partito neo fascista, e che solo riunendo le forze antifasciste presenti anche nei cattolici sarebbe stato possibile evitare il peggio. Perciò dopo anni di piccoli segnali, inframezzati dalla battaglia sul divorzio, si arrivò a un patto nel ’76; mediatore della Dc, Aldo Moro. Il cui omicidio a opera delle brigate rosse pose fine a un governo instabile, che stava lentamente logorando il PCI.
Berlinguer se ne accorse e dovette reinventare la strategia politica, alla ricerca della “terza via”. Negli anni ottanta il consenso comunista scese di qualche punto, ma allo stesso tempo si aprirono numerose nuove sfide per il segretario. Dallo scontro frontale con il PSI di Craxi all’abbozzo dell’eurocomunismo: una strada alternativa per i paesi europei fuori dalle logiche filo-americane e filo-sovietiche, simile a quella intrapresa dalle nazioni del “terzo mondo”.
Indimenticabile rimane l’intervista di Eugenio Scalfari al leader, nella quale pose l’accento sulla questione morale. Una lezione che resta tutt’ora valida perché senza tempo.
Di seguito un estratto:
«I partiti hanno occupato lo stato e tutte le sue istituzioni a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la rai tv, alcuni grandi giornali. (…) Molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni, ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi magari dovuti o sperano di ottenerli. La questione morale non si esaurisce nel fatto che essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori bisogna prenderli, denunciarli, metterli in galera. La questione morale dell’Italia di oggi fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati.»
Oggi ricordiamo i 30 anni dalla morte di Enrico Berlinguer: perché sia tramandata la memoria di un uomo che nel bene e nel male cambiò la storia politica dell’Italia; perché chiunque si interessi di politica mediti sui temi che propose, molti dei quali rimangono ancora vivi nel dibattito odierno; perché la sinistra non dimentichi le sue radici e la classe dirigente rivaluti quella sobrietà e quel coraggio che sembrano mancare di questi tempi. La forza nel trascinare il partito verso il cambiamento, nel far valere le proprie posizioni, forse Enrico ci direbbe che il merito non è solo suo ma del partito, perché da buon comunista era contro l’adulazione e i personalismi di ogni genere. Ma è indubbio che il suo ruolo fu fondamentale, il nome Berlinguer resterà per sempre legato a quell’atmosfera, alla piazza di San Giovanni Laterano piena di bandiere rosse, all’idea di quello strano fenomeno sociale che fu il comunismo italiano.