“Nell’Africa orientale il presidio dell’Amba Alagi, dopo aver resistito oltre ogni limite, ridotto ormai senza viveri e senza acqua, nella impossibilità materiale di curare i feriti, ha avuto ordine di cessare la lotta. Nella battaglia dell’Amba Alagi si sono particolarmente distinti il gruppo Carabinieri Reali Amba Alagi, la compagnia arditi Toselli, la compagnia mortai da 81 della divisione Granatieri di Savoia, il battaglione mitraglieri del 10° reggimento Granatieri di Savoia, il II e III gruppo del 60° artiglieria Granatieri di Savoia, il XLIII gruppo di artiglieria coloniale, il XXIV gruppo di artiglieria da 75. Il nemico, in omaggio al valore dei nostri soldati, ha loro concesso l’onore delle armi, ha lasciato la pistola agli ufficiali e ha disposto che il nostro presidio, uscendo dal ridotto dell’Amba Alagi, sfili in armi dinnanzi ai reparti inglesi che renderanno gli onori. Il Duca d’Aosta segue la sorte delle sue truppe. La resistenza continua nella regione del Gimma e in quella di Gondar.”
Non abbiamo bisogno d’eroi?
Molte persone credono che la frase: «Disgraziato il Paese che ha bisogno di eroi» sia una espressione di saggezza, mentre deriva solo dal riadattamento di uno scambio di battute nel finale del dramma “Vita di Galileo” di Bertold Brecht. Ma davvero le nazioni “migliori” non hanno bisogno d’eroi? Di esempi da imitare? Anche se l’ha scritto Berthold Brecht mi pare un’affermazione per lo meno discutibile e che non trova esempi in nessuna parte del globo terracqueo, per restare al tempo di Galilei. Fa parte dell’uomo onorare gli eroi caduti per un ideale, per un simbolo di civiltà, unità e cultura quale può essere un Paese e, tramite questo onore, si riaffermano i valori nei quali si crede.
Il Duca d’Aosta e la battaglia dell’Amba Alagi
L’Italia non ha eroi recenti, perché è da sempre la guerra che, in una visione romantica, esalta le gesta di chi sa combattere e morire per una bandiera che è l’emblema, appunto, di ciò in cui crede un popolo. La nostra ultima guerra, la Seconda Guerra Mondiale, ha segnato una sconfitta per le nostre armi e abbiamo solo la gloria della Resistenza. Il giudizio, che trova poche voci dissidenti, è che chi ha vestito la divisa nel nome del Re e di Mussolini non può essere un eroe, anche se ha combattuto ed è morto credendo di servire la Patria. Il Duca d’Aosta, e la battaglia dell’Amba Alagi, sono indiscutibilmente azioni eroiche, riconosciute anche dal nemico. E di questo vi voglio parlare.
La cronaca di questa “gloriosa” sconfitta
Il 17 maggio 1941, dopo un mese esatto di eroica resistenza nel ridotto dell’Amba Alagi, le truppe al comando del vicerè d’Etiopia Amedeo duca di Aosta non avevano più viveri, acqua e munizioni e si arresero agli inglesi. Ricordiamo brevemente le vicende che portarono le truppe italiane a raggiungere il 17 aprile le alture dell’Amba Alagi, per organizzare l’ultima disperata resistenza.
Dopo alcune vittorie in Kenia e Sudan le truppe italiane avevano attaccato la Somalia, governata dall’Inghilterra. Quando raggiunsero e occuparono Berbera, la capitale, le truppe britanniche furono immediatamente rifornite e rinforzate, a differenza delle nostre. E così, il 21 gennaio del 1941, il generale britannico Cunningham lanciava l’offensiva contro l’Impero italiano in Africa orientale.
Senza viveri e munizioni
I nostri soldati, completamente isolati dalla madrepatria, subirono l’offensiva britannica, e il 10 aprile 1941 le truppe regolari britanniche, con i ribelli abissini, riconquistarono la capitale Addis Abeba. La settimana successiva, esattamente il 17, il duca d’Aosta si asserragliò sull’Amba Alagi fortificandola, con 40 cannoni da 65/17 e 7.000 uomini.
Un rapporto di uno contro sei
A fronteggiare i nostri vi erano 41.000 uomini: soldati inglesi, indiani e abisssini e la situazione si complicò immediatamente per le nostre truppe per la difficoltà a reperire acqua e viveri. Nei primi di maggio gli Alleati aumentarono la pressione, ma gli italiani riuscirono a respingere il 3 maggio un duplice attacco.
Il giorno successivo, gli inglesi riuscirono a occupare tre cime della catena dell’Amba Alagi e il 5 maggio conquistarono un’altra montagna, non riuscendo però ad andare oltre per l’efficace fuoco di sbarramento italiano. Durante la notte, e approfittando della stanchezza dei nostri che non potevano godere di un cambio e dovevano fronteggiare un numero di nemici superiore di ben sei volte, gli inglesi riuscirono a risalire l’Amba e ingaggiarono battaglia furibonda, mentre alcune truppe occupavano un altro monte. Il 14 maggio gli inglesi conquistarono un’altra vetta ed ora rimaneva soltanto l’Amba Alagi, con i nostri soldati all’estremo delle forze.
Perché non vi arrendete?
Gli inglesi non riuscivano a capire la ragione per la quale i soldati italiani, non avendo più acqua, viveri e munizioni, non alzavano bandiera bianca, ma la resa arrivò il 17 maggio, quando neppure più un colpo di pistola poteva essere sparato. Il nemico, affascinato da tanto eroismo, concesse l’onore delle armi.
Gli ascari restano con le truppe italiane
Non deve essere dimenticato, anche se lo fanno tutti i nostri libri scolastici che, poco prima della resa, il Duca d’Aosta autorizzò gli ufficiali a lasciar tornare nei propri villaggi le truppe indigene. Gli inglesi avevano ripetutamente minacciato gli ascari che, se non si fossero arresi all’esercito di Sua Maestà Britannica, le loro famiglie avrebbero subito drammatiche ritorsioni. Pochissimi, solo quindici ascari, abbandonarono il fortino; gli altri preferirono continuare a combattere al fianco degli italiani.
La fine di un eroe
Il Duca d’Aosta fu condotto prigioniero in Kenia dove, pochi mesi dopo, troverà la morte a causa della tubercolosi, dimenticato da tutti, lui e i suoi uomini, perché il nostro Paese non ha soldati eroi nell’ultima guerra e «Disgraziato il Paese che ha bisogno di eroi». Forse…
Massimo Carpegna