L’ultima carica del Savoia Cavalleria

La battaglia di Isbuschenskij che vide i nostri cavalleggeri sconfiggere cannoni e mitragliatrici

Se esiste un contingente militare, che rappresenta ciò che vi è di più epico e romantico in ogni battaglia, questo è la cavalleria leggera: arma obsoleta già durante la Prima Guerra Mondiale e ancor più nella Seconda, ma ancora capace di sconfiggere l’impossibile e accedere all’immortalità della Storia. Ad essa appartiene il “Savoia Cavalleria“, che nella steppa russa presso Isbuschenskij caricò all’arma bianca alcuni reparti siberiani armati di cannoni e mitragliatrici e riuscì nell’impresa di sconfiggerli, impedendo che le truppe di fanteria della “Divisione Sforzesca”, ormai in rotta, fossero accerchiate e catturate. Era l’agosto del 1941 e 650 sciabole misero in fuga 2000 soldati dell’Armata Rossa.

Hitler chiede uomini per la “Crociata antibolscevica”

Nonostante la scarsità di mezzi a disposizione del Regio Esercito Italiano, la valutazione di Hitler nei confronti delle nostre truppe, dopo la conquista di Stalino e del bacino di Donez, è di grande considerazione per la tenacia e il coraggio mostrato. Il Fürer chiede a Mussolini d’aumentare i ranghi per la “Crociata antibolscevica” e il Duce, in debito per l’aiuto ricevuto in Grecia, invia un’intera armata che, a dire il vero, sarebbe stata assai più utile sul fronte dell’Africa Settentrionale.

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L’opposizione del generale Messe

Infatti, il Generale Messe comunica al Duce la sua contrarietà a questa decisione ma Mussolini, certo di una vittoria incontrastabile e ormai prossima della Germania con il supporto dell’Italia, risponde: «Caro Messe, al tavolo della pace peseranno molto di più i duecentomila dell’ARMIR che i sessantamila del CSIR».

Il nosro contingente in Russia

Il nostro contingente è costituito dal Corpo d’Armata alpino, formato dalla Divisione “Julia”, “Tridentina” e “Cuneese”; da un secondo Corpo d’Armata, con le Divisioni “Ravenna”, “Cosseria” e “Sforzesca” a cui si aggiungerà la “Vicenza” e, infine, dal 35° Corpo d’Armata (ex-CSIR ), con le Divisioni “Torino”, “Pasubio” e “Celere”. Il comando è affidato al generale Italo Gariboldi, che il 29 giugno 1942, presso Nikolaevka, decorò lo stendardo del “Savoia Cavalleria” con la medaglia di bronzo.

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L’obiettivo è Stalingrado!

L’inverno russo arresta le operazioni militari, ma il 28 giugno riprende l’offensiva e Hitler indica l’obiettivo: Stalingrado! Dopo pochi giorni, ed esattamente il 5 luglio, la zona di Voronesch sul fiume Don è conquistata e, in contemporanea, le truppe della Wermacht, costeggiando il Donez, si dirigono verso il Caucaso. Condotta dal generale Paulus, l’avanzata su Stalingrado e l’offensiva a Sud-Est di Rostov, aprono una linea sguarnita nel contingente tedesco, troppo sicuro dei propri mezzi e non preparato alla difesa strenua di Stalingrado da parte delle truppe sovietiche.

L’8va Armata Italiana è destinata al Don

Nell’ansa del fiume Don si concentrano i maggiori sforzi dei russi per fermare l’avanzata nazista e il comando tedesco destina l’8° armata italiana a copertura di quel tratto di fronte. Lungo il corso del Don si combatte una battaglia che, in un primo momento, pare disperata per le truppe di Stalin e, mentre si attende che l’intero contingente dell’8° armata giunga nel bacino del fiume, le truppe del 35° si schierano.

Il “Savoia” raggiunge Ivanowka

Dopo dieci ore di marcia forzata, il “Savoia Cavalleria” raggiunge Ivanowka il 13 luglio e s’accampa dove i bersaglieri s’erano battuti eroicamente e là erano sepolti a centinaia. Dopo tre giorni è a Fatschewka; l’Armata Rossa decide di non contrastare l’avanzata e lascia che le nostre divisioni arrivino alla città mineraria di Krasnij Lutsch. I primi ad entrare sono i fanti della divisione “Pasubio”.

Il sacrificio dei bersaglieri

Prosegue la marcia e il 26 luglio il nostro Reggimento entra a Voroscilovgrad e, dopo uno scontro con le truppe sovietiche, il 18 agosto prende posizione a Bolschoj. I bersaglieri della Divisione “Celere” hanno pagato un altissimo tributo di sangue, per consentire al Reggimento d’entrare nel dispositivo difensivo sul fiume Don. Nonostante il ripiegamento del nemico, inizia a serpeggiare un certo scoramento, poiché l’assaggio con le forze russe ha testimoniato una loro superiorità di uomini e mezzi ai quali i militi italiani si sono opposti con il coraggio e poco più.

L’Armata Rossa attacca!

Con la divisione “Pasubio” a sinistra e la “Sforzesca” a destra, il nostro Corpo d’Armata si schiera sulla linea del Don, mentre i russi hanno occupato i villaggi di Kremenshkija e Bobrowskij e costituito una testa di ponte. Conscio del pericolo che rappresenta, il generale Messe dispone il Reggimento a cavallo e le Camice Nere della “Tagliamento” a protezione della “Sforzesca” e i suoi timori diventano realtà alle due e trenta del 20 agosto: l’Armata Rossa sferra l’attacco.

Iniziano i primi scontri

Dopo due giorni di furiosi combattimenti, la “Sforzesca” cede di schianto a causa di un armamento scarso e leggero, imparagonabile contro la potenza di fuoco russa. Alle sette e trenta del 20 agosto, il generale Messe dirama l’ordine di costituire un gruppo di formazione a supporto della “Sforzesca” e allora il maggiore Conforti raduna il 1° Gruppo squadroni, il 1° e il 3° Plotone mitraglieri e la 3° Batteria di artiglieria del capitano Bodo. Il gruppo si dirige verso Tschebotarewskij con il compito d’esplorare il fianco della linea e compiere, verso Bobrowskij, alcune azioni d’assaggio del nemico.

Il 54° Reggimento di fanteria è stato decimato

Alle tredici e trenta, il comandante della “Sforzesca”, il generale Vaccaro, decide di far proseguire la colonna verso il Don per proteggere il fianco dei fanti ma, giunti a Bobrowskij, il 54° Reggimento fanteria è sparito e ad attendere i nostri si trovano le truppe sovietiche. Per alcune ore, i due squadroni si muovono furtivamente nell’oscurità per rintracciare i fanti della “Sforzesca”, ma l’unico caposaldo che ha tenuto la posizione è quello delle Camicie Nere della “Tagliamento”; ridotto alla metà degli effettivi, non ripiega.

La “Sforzesca” è in rotta

Il giorno 22, il resto del Reggimento riceve l’ordine di lasciare Kotowskij per raggiungere Tschebotarewskij, mentre gli esploratori riferiscono che la zona nei pressi del Don è ormai saldamente in mano all’Armata Rossa. A coordinare le operazioni in questo settore è il generale Barbò, che ordina ai fanti del 34° Battaglione della “Sforzesca” di resistere a tutti i costi: presto arriveranno battaglioni delle Camicie Nere della “Tagliamento”. Purtroppo Barbò non sa che la “Sforzesca” è in rotta: in un caos totale, il panico ha preso tutti e ognuno tenta di trovare una via di salvezza.

Al Reggimento “Savoia” l’ordine di rallentare l’avanzata

Al Reggimento “Savoia” arriva l’ordine di dirigere verso Tschebotarewskij, dove si prevede l’arrivo delle truppe sovietiche; stesso ordine è recapitato alle Camice Nere della “Tagliamento”, che non hanno mai smesso di combattere nel caposaldo «Fontanelle». Nel pomeriggio del 22 ai comandi italiani è ormai chiara la strategia sovietica: superare il Don e tentare d’entrare nelle valli, parallele l’una all’altra, formate dai fiumi Zuzkan e Kriuska.

Il generale Messe si prepara alla difesa

Con l’obiettivo d’arrestare o almeno rallentare l’avanzata dell’Armata Rossa, il generale Messe costituisce due pilastri difensivi, con la speranza di poterli utilizzare, in un secondo tempo, anche quali punto di partenza per la controffensiva. Il primo di questi caposaldi è presso Jagodnij; durante la notte del 22 si radunano il 53° Battaglione della “Sforzesca”, il 15° Battaglione guastatori e la 3° Compagnia lanciafiamme. Nel caposaldo di Tschebotarewskij, affluiscono i resti del 54° Battaglione “Sforzesca” e i due battaglioni delle Camicie Nere. Anche la cavalleria si aggiunge e, innanzi a loro, s’apre la steppa sconfinata.

Inizia la pressione russa

Nel pomeriggio del giorno successivo, inizia la pressione russa e la 14° Divisione della Guardia sorprende le truppe italiane sul fianco, tra Jagodnij e Tschebotarewskij e i cavalieri accorrono in aiuto. Nel teatro delle operazioni dovrebbe trovarsi anche il 54° della “Sforzesca”, ma i fanti si sono dispersi e senza il loro appoggio il fianco sinistro della “Tagliamento” è sguarnito. Il 79° Battaglione Camice Nere combatte strenuamente senza arretrare d’un passo e, calato il sole, il Reggimento Savoia riesce ad entrare a Tschebotarewskij.

Un primo attacco delle nostre truppe

La pressione delle truppe sovietiche non accenna a diminuire e il 23 agosto il comando decide per un attacco sul fianco dell’Armata Rossa con lo scopo di ricacciarla indietro a far rifiatare le nostre truppe. L’ordine per il Reggimento è quello di cavalcare verso il Don, nella zona di Isbuscenskij. Alla testa delle nostre sciabole, il colonnello Alessandro Bettoni Cazzago, accompagnato dal 1° Gruppo artiglieria a cavallo del maggiore Albini.

Le truppe siberiane sono a un chilometro

Poco prima di giungere sulla sommità dell’altura, il comandante del Reggimento decide di fermarsi: la quota è bombardata da colpi di mortaio e, ormai, la notte incombe. Ritenendo la posizione troppo esposta a imboscate, gli ufficiali Abba e Manusardi contestano questa decisione, ma Bettoni resta fermo sulle sue decisioni: dispone il quadrato con le armi automatiche e l’artiglieria rivolte verso la sommità dell’altura da conquistare. Stremati da giorni di duri combattimenti, gli uomini crollano per la stanchezza e non si accorgono che tre battaglioni di Siberiani sono a circa un chilometro di distanza, pronti a coglierli di sorpresa. 2.000 soldati dell’Armata Rossa sono acquattati davanti al “Savoia Cavalleria”.

Contro i nostri, una forza sovrastante

Alle tre e trenta del 24 agosto esce la pattuglia di ricognizione comandata dal sergente Comolli e, durante la perlustrazione, i nostri scorgono un elmetto nei campi di girasole circostanti. Il caporal maggiore Bottini lo giudica della Wehrmacht, ma in realtà è sovietico. Immediatamente, la pattuglia è investita da una pioggia di proiettili e le truppe italiane rispondono con le mitragliatrici. L’artiglieria del maggiore Albini scaglia i suoi colpi sui militi siberiani; ben presto, però, tutti si rendono conto che la potenza di fuoco del nemico è assai superiore, come il numero di uomini a disposizione.

Solo una carica può ribaltare le sorti

Il colonnello Bettoni osserva i suoi che stanno cadendo senza riuscire a scalfire i russi e comprende che solo una carica potrebbe ribaltare quella che appare come una sorte segnata. L’ordine di attacco è impartito al 2° Squadrone comandato dal tenente De Leone che, seguito dai suoi, esce dal quadrato nella direzione opposta al nemico. Compie poi un’ampia conversione e grida: «Sciabola alla mano!». Tutti i cavalleggeri comprendono che quella giornata sarebbe entrata nella gloria del Reggimento.

Come a Balaklava

Al gruppo si unisce anche il maggiore Manusardi al quale i russi, pochi giorni prima, avevano ucciso il cavallo. S’impossessa di quello del generale Barbò e al suo arrivo al galoppo, i cavalieri del 2° Squadrone esultano di gioia: Manusardi è un indomito trascinatore. De Leone urla: «Caricat». E i cavalleggeri rispondono all’unisono: «Savoia». Senza indugio, puntano il nemico con le lance e le sciabole sguainate. Pare di assistere alla carica di Balaklava e ancora una volta i russi restano attoniti di fronte a tanto coraggio e sprezzo del pericolo. Aggredire il nemico con lance e spade, mentre intorno esplodono le bombe e sibilano i proiettili, è già di per sé un gesto eroico.

Parte una seconda carica

Sui nostri si scatena l’inferno. Il cavallo di De Leone è colpito a morte e Manusardi ritorna al suo posto, davanti a tutti. Il 2° Squadrone supera d’impetto il nemico e lascia sul campo metà dei cavalleggeri; Manusardi si rende conto che, senza l’appoggio di altri reparti, non può continuare e allora decide di caricare nuovamente la linea russa appena superata. «Avanti Savoia!» urla ai suoi e tutti lo seguono. S’aprono la strada lanciando bombe a mano e raggiungono il tenente De Leone che, pur se appiedato, ha proseguito ad avanzare e a colpire il nemico con la pistola.

Spariamo con le armi del nemico

Il colonnello Bettoni manda il 4° Squadrone per un’azione frontale senza utilizzo dei cavalli e i plotoni di Abba, Rubino, Compagnoni e Toja avanzano supportati dai mitraglieri di Foresto. 500 metri li separano dal nemico e una raffica di parabellum ferisce Rubino alla gamba e al polmone. Strisciando, raggiunge una posizione più riparata e rifiuta d’essere riportato nelle retrovie; continua a dirigere l’azione dei suoi uomini. Toja e il suo plotone avanzano sulla sinistra per poter prendere d’infilata il fianco delle truppe russe e Abba sostiene l’azione sparando contro i Siberiani con i parabellum che ha sottratto al nemico ucciso.

Carichiamo ancora!

Intanto, gli uomini del 2° hanno completato la carica e Manusardi rientra nel quadrato con i pochi sopravvissuti; incita Bettoni a sostenere l’azione del 4° Squadrone e il comandante del Reggimento dà l’ordine di attacco al 3° Squadrone del capitano Marchio. Riparte un’altra carica furibonda, ma questa volta i russi non si lasciano sorprendere e colpiscono i nostri. Il maggiore Litta e il tenente Ragazzi, nonostante gli ordini contrari, partono al galoppo con i superstiti per dare un sostegno ai compagni in grave difficoltà.

Non abbiamo più ufficiali, ma attacchiamo ugualmente

Raggiungono il 4° Squadrone e un colpo di mortaio uccide all’istante il tenente Ragazzi, mentre Litta non può più montare a cavallo con la gamba gravemente ferita. Allora, raggiunge la postazione di un mitragliere e scarca l’arma sul nemico, finché un colpo non lo uccide. Anche Abba è falciato, mentre tenta di raggiungere gli uomini di Rubino rimasti senza una guida. Il 3° Squadrone non ha più ufficiali e allora tocca al sergente Negri guidare la carica. Sguaina la sciabola e incita i suoi con il grido di battaglia: «Savoia!».

Savoia ha caricato. Savoia ha vinto!

Quella che sembrava una probabile sconfitta, per il soverchiante numero di nemici e della loro potenza di fuoco, si trasforma in una vittoria conquistata non con le armi, ma grazie al coraggio indomito dei cavalleggeri e degli ufficiali del “Savoia”. Alte si levano le grida dei nostri, vedendo ciò che resta delle truppe siberiane darsi alla fuga. «Savoia ha caricato. Savoia ha vinto!» è la frase che passa di bocca in bocca ed è scolpita a lettere di gloria nella storia del Reggimento.

Massimo Carpegna

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Massimo Carpegna
Massimo Carpegnahttp://www.massimocarpegna.com
Docente di Formazione Corale, Composizione Corale e di Musica e Cinema presso il Conservatorio Vecchi Tonelli di Modena e Carpi. Scrittore, collabora con numerose testate con editoriali di cultura, società e politica.