Vannini: la verità dei soccorritori

Golden hour non concessa a Marco Vannini

Troppo bugie sul caso Vannini. La trasmissione “Le Iene” ha reso pubblica l’intervista fatta ai soccoritori quella notte. Proprio loro, che hanno subito cercato di aiutare Marco Vannini a restare aggrappato alla vita. Le loro parole sono agghiaccianti.

Un breve riassunto dei fatti…

Bugie che durano dal 2015, quando Marco Vannini, venne ucciso da un colpo di arma da fuoco, nel bagno della casa della fidanzata. Tragedia avvenuta, secondo quanto dichiarato dalla stessa famiglia Ciontoli, per colpa del padre, Antonio, professione ufficiale. In primo grado era stato condannato a 14 anni di reclusione. Clamorosamente, in appello, ridotti a solo 5 anni. Da subito, qualcosa non è mai quadrata. Discrepanze tra quanto dichiarato dalla famiglia in sede di interrogatorio e le intercettazioni proprio di quel maledetto giorno. Ammissioni e retrofont non mancano.

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Presenti quella notte, oltre all’intera famiglia Ciontoli compresi i figli, Martina e Federico (per tutti solo 3 anni di reclusione), anche la fidanzata di quest’ultimo (assolta). Il ragazzo era in bagno con il suocero, guardavano le armi, ma per gioco, dichiarerà il Ciontoli, è partito un colpo. I Ciontoli non hanno mai detto o parlato di ferita di arma da fuoco, ma solo di malore, attacco di panico e gioco.

Le dichiarazioni dei soccorritori del 118

Avrei potuto fare di più, se ce lo avessero concesso.Siamo stati ingannati” afferma Ilaria. Si tratta della soccorritrice che per prima è entrata in quella casa. Accanto a lei Cristian, il collega presente quella notte. Secondo loro, infatti, al loro arrivo tutta  la famiglia al completo era presente. A raccontare loro l’accaduto solo il capofamiglia Ciontoli, mentre Federico annuiva alle parore del padre. Fu il ragazzo a mostrare loro quel piccolo foro, pulito ed asciutto. “Marco non era sporco di sangue” continua l’operatrice del 118. Mentre visitavano Marco, inoltre, qualcosa non andava. I medici raccontano di aver avuto quasi la sensazione che volevano sbarazzarsi della loro presenza. Si sarebbero perfino offerti per accompagnarlo in ospedale. Secco il rifiuto degli operatori sanitari, che insospettiti hanno portato in ambulanza il ragazzo. Tra il racconto della “famiglia” e le condizioni di Marco, qualcosa non quadrava. Da codice verde a rosso e corsa disperata in ospedale.

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La bugia durante la telefonata

Mentre i soccorritori cercavo di portare via Marco da quella casa, la Sig.ra Ciontoli ha chiamato la mamma di Marco. “Marina, vieni giù che Marco è caduto dalla scale“. Subito l’infermiera ha notato l’inconguenza ponendosi questa domanda. “Come mai raccontare di essere caduto dalle scale, quando a noi hanno raccontato che è stato colto da un attacco di panico?“. Come una doccia fredda le parole di Cristian: “Nessuno ci chiese di accompagnare Marco in ambulanza“.  Marco è stato lasciato solo per la sua ultima corsa dicendo: “Aiuto ragazzi“… solo una richiesta di aiuto. Non riusciva a parlare,ma soloo queste due parole.

Marco poteva essere salvato?

Dure le parole di Ilaria: “Nelle emergenze esiste la famosa Golden hour, dove se si raccolgono le giuste informazioni, corrette, si agisce nel modo giusto. Questo a noi è stato impedito. A confermare quanto detto dall’infermiera la dichiarazione del Dott. Luigi Cipolloni, medico legale del caso Vannini. Secondo la sua teoria, il 118 doveva essere chiamato subito. Sarebbe stato assegnato un codice rosso. Un elisoccorso avrebbe prelevato il ragazzo ed in poco più di un’ora in sala opeatoria. L’intervento avrebbe, con molta probabilmente salvato la giovane vita. Appare ertanto chiara la risposta. Si, Marco poteva essere salvato! Questa è l’amara verità.

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Spetta alla cassazione l’ultima parola. E che possa essere fatta, finalmente Giustizia!