Vizi italici: la legge truffa

Quando una partita si rivela difficile da vincere, molto spesso in Italia si cambiano le regole del gioco, al solo scopo di vincere ugualmente o comunque di rendere meno pesante la sconfitta.
Agli inizi del 1950 la Democrazia Cristiana, era saldamente il partito di maggioranza relativa più forte e ben posizionato nel paese ma, questi risultati non bastavano ad assicurare la stabilità politica e non assicuravano il mantenimento di una governabilità necessaria per intraprendere quell’opera di risanamento che il paese aspettativa dalla fine della seconda guerra mondiale.
Ancora più problematica divenne la situazione politica con l’accresciuta presenza di nuove formazioni politiche che portarono ad una maggiore frammentazione delle posizioni, nate come funghi. Accanto al blocco centrista, si posizionarono quelli che nei decenni successivi daranno del filo da torcere alla stessa Dc, non tanto per i voti sottrattigli, al dire il vero pochi, ma per le posizioni politiche di aperto contrasto ed inconciliabili fra i vari soggetti. Questi partiti erano (Liberali, Repubblicani e i Socialdemocratici), sulle questioni di maggior rilievo, o ogniqualvolta si provò ad affrontarle, come riforme o modifiche radicali si arrivava regolarmente al muro contro muro. L’immobilismo politico del nostro paese dunque ha radici storiche ben salde.
A questi va aggiunto il blocco delle sinistre con comunisti e socialisti, in forte rispolvero e bene organizzati sul territorio, mentre perdevano voti, fino a scomparire totalmente i qualunquisti di Guglielmo Giannini.

Le amministrative del ’51-‘52
Le amministrative del 1951 rappresentarono un banco di prova e al tempo stesso una seria preoccupazione per un paese disposto ad accettare solo governi esclusivamente centristi o comunque monocolore, moderati, composti esclusivamente da DC. Al massimo si era disposto a tollerare qualche “apparentamento”, come veniva chiamato allora, una forma di alleanza elettorale o politica, con qualche partitino minore.
Il 27 maggio e il 10 giugno 1951 si tennero le prime amministrative libere nei comuni e nelle province del centro sud, con un rigido sistema elettorale proporzionale, adottato nel ’46. Ministro degli interni era ancora Mario Scelba. Contrariamente alle aspettative invece, i risultati furono una delusione cocente. La situazione data dai risultati elettorali rinforzava le destre a spese della Dc, che pur con uno schieramento che guadagnava mezzo milione di voti, ne perdeva rispetto al ’48, un milione e mezzo. Insomma pur essendo un partito di maggioranza relativa con uno “share” diremmo oggi, intorno al 35 %, l’avanzata comunista e la presenza delle destre con un risveglio del partito monarchico, impensieriva molto i politici Dc. Il due outsider di destra Msi e PNM, (monarchici) pur racimolando solo il 4,7% si dimostrarono insidiosi, specie nelle terre del profondo sud, dove i risentimenti della borghesia meridionale nei confronti della politica riformista e le prime delusioni per la mancata attuazione di quella riforma agraria, sempre promessa ma mai concessa, erano palpabili.
Il timore per una conquista del potere da parte delle sinistre è stata una costante di tutti gli anni ‘50 e dei primi anni ’60. Nelle stesse elezioni amministrative di Roma del ’52, al fine di scongiurarne la deriva a sinistra ci si rivolse a qualsiasi ambiente, compresi clericali e cattolici, accettando condizioni, pressioni ed ingerenze nella politica locale. In molti casi furono creati liste civiche, movimenti apartitici, formazioni politiche fuorvianti ed effimere, al solo scopo di sottrarre voti ai vari partiti antagonisti o ai soggetti estremi.
Anche le amministrative del ’52 confermarono il trend dell’anno precedente anzi in alcuni casi ne rappresentarono un ulteriore rinforzo. La Dc continuava a perdere voti in termini assoluti rispetto al risultato del ’48, le sinistre consolidavano i risultati e le destre cominciano, seppur marginalmente, a farsi notare sempre più. Complessivamente a livello nazionale la Dc era scesa al 39, 2% ma in alcuni territori del sud arrivò a toccare punte del 30 % dei suffragi, quasi quanto il voto congiunto dei partiti di sinistra. A creare altro scompiglio anche la notizia della perdita di alcuni importanti capoluoghi campani e pugliesi come Napoli, Bari, e Foggia passate alla destra, grazie ad alleanze politiche con partiti minori tipicamente orientati a destra.
I risultati delle amministrative ponevano una lunga riflessione di riferimento sullo stato generale del paese e sulle politiche necessarie che invece non ci fu. Occorrevano politiche che facessero da volano per l’opera di ricostruzione di una nazione ancora semi distrutta da una guerra, che nessuno aveva voluto ma che ancora mostrava in modo indelebile i segni. Nel paese però cominciava a serpeggiare concretamente la voglia di ricominciare. Le discussioni politiche invece si focalizzarono molto su come assicurarsi la vittoria alle prossima tornata elettorale o su come scongiurare una debacle elettorale. Lo stesso de Gasperi cominciò a parlare della necessità di ripiegare sugli “apparentamenti” al fine di mantenere un’azione politica ed una linea coerente con i partiti democratici minori …

Nasce la nuova legge elettorale
Andreotti racconta come De Gasperi in realtà mirasse ad un premio di maggioranza sufficientemente ampio da garantire la maggioranza assoluta e tale da poter assicurare alla Dc di governare congiuntamente con un partito minore, vista l’inaffidabilità dimostrata dai liberali e socialdemocratici, nei pochi anni trascorsi insieme.
Fu allora che si cominciò ad accarezzare l’idea che un’eventuale conferma in termini di voti ottenuti sullo stesso livello delle amministrative alle nazionali, avrebbe di fatto creato un blocco centrista con una maggioranza assoluta oscillante intorno al 50 % dei suffragi e tanto bastava ad assicurare il governo al blocco centrista, in totale autonomia ed una completa indipendenza politica. Ma in altre sedi centriste cominciò invece a farsi avanti l’ipotesi di un premio di maggioranza che mettesse al sicuro la coalizione da eventuali “perdite “ o travasi di voti verso formazioni minori; il premio inizialmente proposto, aveva il solo scopo di assicurare il raggiungimento del quorum nei seggi del parlamento. A nulla valsero i commenti ed i dubbi avanzati dalla sinistra sull’incostituzionalità di una simile norma, non contemplata dalla ancor giovane Costituzione, che tra l’altro inspiegabilmente non aveva nemmeno previsto leggi elettorali, ma solamente una generica applicazione del principio maggioritario per l’elezione del Senato!
Anzi da più parti molti intellettuali, specie studiosi e politologi, furono concordi nel ritenere necessario, qualora un’ipotesi vedesse la luce, almeno la conferma attraverso un referendum confermativo da parte dei cittadini.10828

Il nuovo sistema elettorale proposto, rimaneva radicato sempre sul metodo proporzionale ma ad esso si sarebbe aggiunto “un’integrazione “ maggioritaria, che sarebbe scattata esclusivamente al raggiungimento del 50 % più uno dei voti validamente espressi. Ma si tentò anche una formulazione per abbassarne la soglia al 45. Finite le discussioni politiche all’interno delle segreterie si passò alla presentazione del relativo ddl firmato dallo stesso Scelba, dal titolo “Modifiche al testo unico per l’elezione dei Deputati e …”
A poco servirono i mille modi escogitati dalle opposizioni per ostacolare con formule ostruzionistiche la discussione sul progetto di legge, le prime quattro pregiudiziali di incostituzionalità presentate ad esempio (vertenti sulla connaturazione del principio proporzionale nel testo costituzionale) furono subito respinte in blocco, con la motivazione che “… i padri costituenti avevano volutamente lasciato libera scelta al legislatore di optare per il sistema elettorale che fosse ritenuto più consono alla realtà …
e alle esigenze politiche contingenti…”. Seguirono poi 1625 emendamenti presentati dall’opposizione e contro emendamenti, dibattiti in aula, e il solito tram tram di frenetica attività legislativa e la consueta navetta parlamentare fra le camere.
Le sinistre allora pensarono di scendere nelle piazze per mobilitare il popolo, con una protesta pubblica contro il ddl ma l’azione non fece molto appeal neanche all’interno del PCI stesso. Anzi in molti si schierarono per una posizione più pacifista, evitando di innescare disordini e rivolte sociali che avrebbero poi potuto prendere direttrici e modalità imprevedibili o addirittura rivolgersi contro gli stessi partiti propositori. Alla fine il preannunciato sciopero generale si rivelò un totale fallimento.

votate

Le elezioni
I contrassegni depositati al Viminale furono 73, di cui 18 esclusi per ripetizione dell’emblema o perché troppo somiglianti ad altri. La campagna elettorale incise molto su quella che venne subito soprannominata “legge truffa”, molto criticata e spesso ridicolizzata, l’opposizione in molti casi trasformò la campagna stessa in un referendum a favore o contro la legge stessa. La stampa estera la presentò come l’espediente di un governo debole per superare la difficile situazione di ingovernabilità creatasi. A guadagnarci fu indirettamente il Pci che grazie alla massiccia organizzazione territoriale ramificata e ben strutturata, ebbe un fertile terreno per attaccare il blocco centrista e la Dc, che aveva fortemente voluta e varata la norma.
Martedì 9 giugno 1953 vennero resi pubblici i primi risultati delle elezioni del Senato dove i partiti di centro raggiungevano il 50.02 % dei voti e quindi ottenendo la maggioranza assoluta dei seggi. Il risultato faceva ben sperare ma qualche giorno dopo, ecco arrivare la prima doccia fredda. Nonostante la grande affluenza elle urne (del 93,8% sia per la Camera dei deputati che per il Senato, contro il 92,2% del 1948 e dell’89,1% delle elezioni per la Costituente del 1946), a quanto pare i giovani non si sentirono molto rappresentati dalle posizioni centriste che alla Camera raggiunse complessivamente (erano quattro i partiti della coalizione) solo il 49,8 %. Una beffa.
La DC si era certamente riconfermata come il partito più forte riportando da sola 10,9 milioni di voti, corrispondenti al 40,1% ma era innegabile come il partito avesse perso 43 seggi alla Camera, rispetto alla prima legislatura repubblicana passando da 305 a 262 seggi.

Il quorum non era stato raggiunto e pertanto la legge non poteva avere alcun effetto e nessuna efficacia. Sarebbero bastati solo 57 mila voti di scarto ed il gioco sarebbe scattato, si calcolò in seguito, una volta disponibili i risultati completi delle consultazioni.
Lo stesso giorno il ministro Scelba, diramò con un’insolita fretta un comunicato (aspramente criticato) con cui ufficializzava il mancato raggiungimento e rendeva vano ogni altra possibilità. Forse Scelba che aveva già vissuto in prima persona le polemiche con il referendum sulla monarchia, voleva evitare il proliferare di tentativi di raggiri, troncando di netto ogni polemica e i vari contenziosi circa il conteggio dei voti e soprattutto non voleva si ripetesse quella fase di incertezza istituzionale che accompagnò le settimane dopo il referendum sulla forma repubblicana, esponendo l’ancora debole democrazia a gravi rischi sociali.

Cosa era successo?  Scelba con il giovane Scalfaro
Le sinistre come già si evinceva dalle amministrative salirono dal 31% del ‘48 al 35,4% il PCI otteneva un successo importante ma non sufficiente per presentarsi come alternativa ai centristi o nel guidare una forza di governo basata sullo schieramento di sinistra. Il
PSI pur giovane ottenne una buona performance, confermando un tendenza alla crescita anche rispetto alle passate amministrative. L’insuccesso di De Gasperi mise fine ai governi centristi monocolore in Italia, una sconfitta aperta per la Dc che da allora fu costretta a governare insieme ad altri soggetti e fece definitivamente tramontare l’idea del partito egemone nel contesto nazionale.
La DC era stata costretta a pagare un pesante tributo, in termini di consensi elettorali, ai partiti della destra. Le riforme promosse dalla DC in seno all’arcaica struttura agricola
meridionale, non avevano certo trovato consensi negli ambienti agrari. I risultati elettorali mostrano come la legge maggioritaria non scattò soprattutto per l’atteggiamento di diffidenza e di risentimento dei ceti agrari e della borghesia nei confronti di una politica democristiana giudicata troppo incline ad assecondare le spinte pseudo riformiste e deludente nel modificare i tradizionali equilibri sociali specie del Mezzogiorno. La mancanza di una vera differenziazione delle responsabilità e delle competenze istituzionali tra maggioranza ed opposizione, tra parlamento e governo, il confuso assetto istituzionale che permane ancora oggi, la mancanza totale di forme di democrazia diretta, la mancanza di ricambio, la difficile situazione economica, il palliativo delle responsabilità politiche mai accertate, rendeva il sistema politico bloccato da conflitti incomprensibili alla gente. Mancava una vera alternanza tra le due forze, e pesava la delusione per le aspettative di un ricambio istituzionale mai giunto.
Fra la legge truffa del ’53 e l’attuale sistema elettorale proposto per l’elezione dei parlamentari la distanza non è poi tanta, anzi le analogie fra le due norme sono sorprendenti, chissà se come allora il verdetto delle urne sarà clemente o si rivolterà contro coloro che lo avevano varato, comunque sia la storia non dimentica.