C’era una volta il PD

La fine di un nastro nascente.

Dalle ultime elezioni politiche del marzo del 2018 è emerso un solo dato politico sul quale tutti sono concordi: la grande sconfitta del Partito Democratico e del suo leader Matteo Renzi. Un misero 19 % che impallidisce di fronte al grande risultato del 40.8 % dei voti ottenuto alle elezioni europee del 2014. Ma questa sconfitta ha radice lontane e profonde che si possono ricercare all’interno degli stessi passi fatti dall’ex sindaco di Firenze. Facendo un piccolo salto indietro con la memoria ripercorriamo le tappe dell’ascesa al successo e della caduta di Matteo Renzi.

Tutto inizia nel 2013 con le primarie del PD dove Pierluigi Bersani gareggia con l’uscente sindaco di Firenze per la guida della segreteria del partito. Il giovane sfidante  punta tutta la sua campagna elettorale su un tema molto preciso la “ rottamazione” della vecchia classe politica. Secondo il cittadino più illustre di Palazzo Vecchio, la classe dirigente politica italiana andava rottamata e cambiata radicalmente perché colpevole di aver fallito nel tentativo di cambiare o comunque riformare il Paese.

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Per questa sua posizione, Renzi, era spesso e volentieri accomunato alle posizioni che il Movimento Cinque Stelle (strutturatosi in un movimento da pochissimo tempo) guidato da Beppe Grillo andava urlando nelle piazze di tutta Italia. Queste prese di posizione, bisogna sempre sottolinearlo, oggi come ieri erano fortemente sentite dagli italiani indifferentemente da quale fosse la loro posizione e credo politico, specie se se contestualizziamo in che condizioni si trovasse il Paese alla fine del 2013 con il pericolo del default che era stato evitato per un soffio attraverso i provvedimenti da ” lacrime e sangue” che il governo Monti dovette adottare per mettere in sicurezza i conti dello stato ( ad esempio la legge Fornero).

Le primarie del partito democratico si conclusero con una vittoria netta di Bersani e di un Renzi, che ammetteva la sconfitta e annunciava che avrebbe dato tutto il proprio sostegno al vincitore. Sostegno che non ci fu durante le elezioni di ottobre del 2013 per la scelta del nuovo presidente della Repubblica, in cui il candidato della segreteria del partito democratico Romano Prodi fu di fatto boicottato dall’azione dei 103 franchi tiratori, che portarono all’elezione di nuovo di Giorgio Napolitano ( prima volta nella storia repubblicana) e alle dimissioni di Pierluigi Bersani da segretario del PD.

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Siamo nel 2014, alla guida del governo siede Enrico Letta che gode di una maggioranza formata dal Pd e dal centro destra ( in quanto il M5S aveva chiuso tutte le porte per una possibile collaborazione con Bersani). In questo clima si svolgono le nuove primarie all’interno del partito democratico che vedranno questa volta stravincere il sindaco di Firenze che supererà senza troppe difficoltà i suoi avversari Cuperlo e Civati. Fin da subito si evince che il nuovo segretario pd non vede di buon occhio l’operato del governo che si muove troppo lentamente ed è legato nei suoi provvedimenti a sottostare a quelle che sono anche le esigenze del centrodestra suo alleato, scendendo giorno dopo giorno nei sondaggi. Per questo dopo il famosissimo “ stai tranquillo” di Renzi a Enrico Letta, il segretario democratico decide di togliere la fiducia al governo e dopo un brevissimo peridio ottiene dal presidente della Repubblica l’incarico di formare un nuovo governo.

Il nuovo leader del partito democratico apre ad un’alleanza con il Popolo delle libertà  ( in quanto ogni possibilità di accordo con il M5S era naufraga inseguito all’incontro con Beppe Grillo) e viene stipulato il patto del Nazareno, in cui le due forze politiche avrebbero avviato insieme una serie di riforme strutturali. Questo patto non regge però a lungo e a infrangerlo è proprio l’ex sindaco di Firenze, attraverso la scelta non concordata di Sergio Mattarella come nuovo presidente della Repubblica, che stabilisce di fatto la fine dell’alleanza con Berlusconi e la rottura del centro destra, in quanto Verdini e Alfano continueranno a sostenere il governo Renzi.

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Questo è il momento di maggiore popolarità per il leader democratico e il suo governo, che grazie all’avvio di una serie di riforme e soprattutto al bonus degli 80€, viene premiato all’elezioni per le europee con il 40% dei voti che sanciva la legittimazione popolare per un governo che era stato formato nuovamente senza passare per le urne

Ma solo quando si è saliti davvero in alto che non si può far altro che scendere e il declino per Matteo Renzi inizia proprio da questo momento. A determinare questa parabola discendente sono stati diversi fattori. Il primo il forte autoritarismo con il quale Matteo Renzi avrebbe gestito le diverse anime del partito democratico, non accettando mai di concedere a quella che veniva definita la ” minoranza dem” alcun riconoscimento. Gli scandali di banca Etruria e della Consip, in cui erano coinvolti o chiamati in causa l’allora ministra ai rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi e il padre dello stesso Renzi.

Il vero errore politico, però da parte di Renzi è stato quello di voler cambiare radicalmente pelle al partito democratico. Il leader del Pd aveva tentato di andare a ricoprire il posto lasciato da Berlusconi, che si trovava in una condizione di estrema debolezza politica in seguito al decadimento da senatore per l’applicazione della legge Severino. Così Renzi aveva tentato di trasformare il Partito Democratico, in un partito della nazione che fosse trasversale e che riuscisse a pescare i voti dal centro destra. Sotto questa ottica che va visto allora la promulgazione del Job Act con l’eliminazione dell’Articolo 18, fortemente criticato da tutti gli ambienti della sinistra.

Ma il progetto renziano è fallito miseramente, in quanto Berlusconi per l’ennesima volta è riuscito a risollevarsi e a riprendere il proprio posto all’interno dell’elettorato moderato, mentre il partito democratico aveva perso la propria base elettorale.

Queste mie parole risultano evidenti se si guarda al risultato delle elezioni politiche del marzo del 2018 ( piuttosto che all’esito del referendum del 2017, perchè la partita in quel caso era stata personalizzata tutto in torno alla questione: Renzi Si o Renzi No). Il partito democratico ha visto dimezzarsi i propri voti e gran parte dei voti persi sono andati proprio al Movimento Cinque Stelle, che è diventato il partito di riferimento della classe operaia e delle fasce più deboli della popolazione.