Democrazia esautorata: le picconate di Renzi ed i silenzi del Colle

renzi napolitano

L’ostacolo della Camera alta del Parlamento è superato di slancio, imposta un’approvazione a tappe forzate della legge di stabilità con la solita fiducia a far dormire sogni tranquilli l’esecutivo. La premura di accorciare il più possibile i tempi dell’iter parlamentare prevale, oltre che sulle logiche del confronto democratico, anche sulla coerenza logica del testo, sulla sintassi e sulla chiarezza del provvedimento. “Il governo accetta e chiede scusa per gli errori commessi anche nella relazione tecnica, ma abbiamo cercato di rendere più leggibile il testo”. L’ammissione del viceministro Morando di fronte agli errori e ai refusi del provvedimento. Tutto ciò ha causato forti polemiche che spingono il governo a imporre la fiducia sul maxiemendamento ed alla conferenza dei capigruppo al Senato di votare ad oltranza nella notte.

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Durissime le reazioni delle opposizioni. “Sulla legge di stabilità il governo nel caos (..) Il provvedimento di politica economica più importante dell’anno arriva per l’esame della Camera fuori tempo massimo, e si chiedono decisioni accelerate.” Tuona Forza Italia prima di abbandonare l’aula. “La legge di stabilità approvata è degna della peggiore Unione Sovietica.” Questa la critica di Matteo Salvini. Calderoli, sempre in tema di richiami all’U.R.S.S., sbatte la scarpa sul tavolo imitando Kruscev. Sel parla di “umiliazione del Parlamento.” Dittatura alla vasellina” la chiosa di Grillo.

Preoccupazione dai sindacati. Il provvedimento approvato, infatti, prevede l’abolizione delle province senza chiarire la sorte dei lavoratori coinvolti, i quali, temendo esuberi per 20mila unità, minacciano una forte mobilitazione.

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Grande ottimismo e toni trionfalistici invece da parte del governo. Il premier Renzi commenta: “Abbiamo stoppato i vecchi appetiti della politica (..) li abbiamo lasciati a bocca asciutta”. “L’Italia è più affidabile” assicura il ministro delle finanze Padoan. In un tweet il primo ministro ringrazia i senatori e le senatrici che, votando la legge, hanno dato una lezione di politica all’ostruzionismo. Pur considerando l’importanza del documento, il governo non ha ritenuto di approfondire ulteriormente la discussione con le altre forze politiche, procedendo speditamente per ottenere il nulla osta del Senato, attraverso la fiducia e una votazione nottetempo.

Quanto accaduto è coerente con il progressivo svilimento della dialettica democratica nel Parlamento. Le Camere non svolgono più una funzione legislativa piena, democratica, una attività informata dal valore del confronto tra le varie forze politiche, confronto necessario per il miglioramento e l’elaborazione delle norme di legge. La funzione dell’organo legislativo è degradata a ratifica di decisioni prese in altre sedi (consiglio dei ministri) mediante l’approvazione di provvedimenti blindati dai vari esecutivi con la fiducia.

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Il governo Renzi in 8 mesi ha utilizzato la fiducia ben 24 volte. Prodi dal 2006 al 2008 ha posto la fiducia 27 volte. Gli esecutivi Monti e Berlusconi hanno sfondato quota 50. Più contenuto il dato riferibile al governo Letta essendo ricorso a tale istituto solo in 10 occasioni.

In pochi anni, quindi, lo strumento della fiducia è stato utilizzato oltre 150 volte da ben 5 esecutivi; una linea di continuità molto preoccupante. Numeri tutt’altro che rassicuranti per un sistema che pretende di essere democratico, democrazia, come tutti i costituzionalisti sostengono, che ruota proprio attorno al nostro ormai depauperato Parlamento.

Se queste sono le dinamiche all’interno delle istituzioni è lecito chiedersi quale sia la dialettica adottata dal governo nei confronti della società civile e delle organizzazioni intermedie (cittadini, sindacati, ecc…). L’elettorato attivo in questi anni ha subito progressivamente una limitazione del suo ruolo centrale nella vita democratica. Il cosiddetto “popolo sovrano”, in seguito alla riforma della legge elettorale definita dal suo fautore “porcellum”, ha visto un ridimensionamento del proprio dritto di eleggere i suoi rappresentati a una mera attività di ratifica notarile delle candidature decise dalle segreterie dei partiti. Il risultato delle tornate elettorali non è più l’elezione dei parlamentari quali rappresentati del popolo, ma un consesso di nominati alle dipendenze delle nomenclature dei vari schieramenti.

A ciò si aggiunga che la formazione degli ultimi tre governi è avvenuta totalmente al di fuori delle logiche democratiche e dei principi stabiliti dalla Costituzione. Gli esecutivi Monti, Letta e Renzi hanno visto la luce grazie ad una logica emergenziale, una sorta di “affidamento diretto dell’appalto”, dove il ruolo di primo piano è stato giocato non dal “popolo sovrano”, ma da giochini di palazzo di cui il Colle si è reso protagonista. “Non vado al governo senza passare dal voto”. Queste le dichiarazioni di Renzi con cui si impegnava a ripristinare una situazione di normalità democratica, impegno puntualmente tradito.

Coerenti con queste attuali dinamiche estranee allo spirito della Costituzione sono le recenti proposte di riforma dell’attuale esecutivo. I partiti, infatti, palesano una sempre più forte volontà di limitare i già sottodimensionati istituti di democrazia diretta.

Si pensi alle leggi di iniziativa popolare ed all’intenzione del governo di quintuplicare le firme necessarie (da 50.000 a 250.000) per far approdare la proposta alle Camere, eliminando in tal modo implicitamente lo strumento, il cui utilizzo nella storia repubblicana non ha mai portato alla approvazione di una legge.

Si pensi ancora al referendum abrogativo, istituto paralizzato dalla previsione del quorum, per la cui proposizione sono necessarie 500.000 firme che aumenterebbero fino ad 1 milione nell’intenzione dei nuovi padri costituenti.

Interessante soffermarsi sui rapporti della politica con le organizzazioni dei lavoratori. A tal riguardo è doveroso citare alcune frasi di Renzi all’ultima Leopolda. Il premier riferendosi all’anacronismo dell’art. 18 dichiarò: “ (..) siamo nel 2014 è come prendere un Iphone e dire dove metto il gettone? Prendere una macchina fotografica digitale e provarci a mettere il rullino. E’ finito il tempo del rullino.” Tali beffe fecero il paio con un arredamento vintage alle spalle del rampante leader volto a mettere in evidenza il carattere anacronistico, ancestrale dei sindacati e a ridicolizzare i “gufi” in disaccordo con la sua linea politica. L’attenzione, il fare dialogante, la ricerca di una armonia della nuova classe dirigente del P.D. con i sindacati è stata manifestata anche in occasione dello sciopero generale indetto il 12 dicembre da Cgil e Uil. “Anziché passare il tempo a inventarsi ragioni per fare scioperi, mi preoccupo di creare posti di lavoro perché c’è ancora tantissimo da fare”. Questo il commento del leader del centro sinistra.

In presenza di questa grave crisi della Repubblica conseguenza, sia dello svuotamento di qualsiasi valore democratico all’interno delle istituzioni, sia dello sprezzo con cui la politica si rivolge agli interlocutori della società civile, è doveroso soffermarsi sulla linea del Colle. Napolitano non sembra preoccupato dalle storture lesive della democrazia del paese: non una parola, una presa di posizione sul problema della libertà, del rispetto della Costituzione messa a repentaglio negli ultimi anni da una politica sempre più spregiudicata e autoreferenziale. La sua azione appare indirizzata unicamente alla conservazione dello status quo, al mantenimento delle larghe intese e all’appoggio incondizionato dell’attuale esecutivo, abdicando alla sua funzione di soggetto super partes, di garante della Costituzione per abbracciare il ruolo di garante dei partiti e dell’attuale classe politica.