A più di 3 settimane dalla scomparsa di Michele Merlo, il cantautore ed ex concorrente di Amici 16, portato via da una leucemia fulminante a soli 28 anni, ho avuto il piacere e l’onore di intervistare Azzurra Zuccolo, una ragazza che ha la delicatezza di un giunco nel corpo, ma la fermezza di una quercia nell’anima. Questa intervista è un piccolo viaggio nella vita di Michele e nella loro amicizia, fatta di gioie, ma anche di dolori. Azzurra è nata con una malattia genetica che negli anni l’ha costretta a svariati e dolorosi interventi: ecco come la musica di Michele è stata “La luce che l’ha guidata a casa“.

Da fan ad amica. Michele è sempre stato anche questo: l’amico che tutti vorrebbero. Saggio ascoltatore, sensibile ed empatico. Al di là della vostra amicizia, quale è il primo ricordo che hai di Michele legato alla sua musica?
Sentii la voce di Michele per la prima volta ai bootcamp di X Factor, ai tempi ero ricoverata in ospedale ed era un momento molto brutto per me. Lui portò una cover di Fix You dei Coldplay. La canzone recita «Could it be worse? Lights will guide you home and ignite your bones and I will try to fix you». (ndr: Potrebbe andare peggio? Le luci ti guideranno a casa, e accenderanno le tue ossa. Io proverò a ripararti). A ripararmi, forse, ci era già riuscito. La cosa simpatica è che circa un anno dopo mi ricoverarono di nuovo in quella struttura, per caso capitai nella stessa stanza. Lui mi mandò l’in bocca al lupo per l’intervento. Se da una parte rivivere il dolore fisico dell’anno precedente mi aveva distrutta, questa piacevole coincidenza mi diede la spinta per credere che eravamo destinati a trovarci. E decisi di dargli la possibilità, che poi si rivelò un privilegio, di provarmi a riparare con la sua musica. Ad oggi posso confermare ci sia riuscito.
“Questa paura di cadere è solo voglia di volare”, quanta era la voglia che Michele aveva di volare con la sua musica, di arrivare nei cuori?
Michele avrebbe voluto parlare a tutti, sia da persona che da artista. È la persona più curiosa, in senso buono, ed empatica che abbia mai conosciuto. Il desiderio di ampliare il suo pubblico non era dettato tanto da un tornaconto economico, quanto dall’esigenza di trasformare i suoi stessi dolori in messaggi per gli altri. Ha sempre voluto cavarsela da solo in tutto, ma al contempo voleva che tutti godessero di una compagnia su cui poter sempre contare e sperava che essa potesse essere rappresentata dalla sua musica. Per lui il vero successo era far star bene le persone. Trovava una pace interiore solo nel momento in cui la sua arte, che era l’elaborazione di una vera sofferenza, dava una pacca sulla spalla a qualcuno che prima non si era mai sentito capito o un abbraccio a chi cercava riparo.
Oltre a essere cantante e scrittore, Michele amava anche recitare e dipingere. Un artista a tutto tondo. Da cosa nascevano queste altre sue due passioni?
Io credo nascessero da due sue grandi doti, nonché la sensibilità e la curiosità. La sensibilità, perché lui trovava il bello in tutto: nei fiori, nelle farfalle, nei tramonti. E questa bellezza cercava sempre di condividerla, quale modo migliore dell’arte? Michele era anche molto curioso e sempre pronto a mettersi in gioco. Aveva una cultura immensa, ma non smetteva mai di voler imparare. Da qui, la sperimentazione di diverse forme d’arte. Anche all’Università, difatti, la sua scelta ricadde su queste tematiche ed aveva recentemente ripreso a studiare nel corso di Beni Culturali. Per il cinema frequentò una masterclass con Muccino e fece molti provini, mi sarebbe tanto piaciuto vederlo realizzato anche in quel mondo, era bravissimo anche lì.
Parentesi Cinemaboy: con il suo talento sarebbe potuto arrivare anche nei mercati esteri, la fase Cinemaboy ne è la prova tangibile. Come mai poi ha deciso di tornare a Mike Bird?
Dopo “Cinemaboy” non c’è stato un ritorno a Mike Bird — sebbene ancora molti lo conoscono così – si è passati al semplice “Michele Merlo”, che secondo me è fra tutti, è il migliore. Perché non ha mai costruito un personaggio, non aveva bisogno di un nome d’arte, ciò che raccontava nei suoi testi esprimeva perfettamente la sua persona. E con tutti, prima di essere artista, si è comportato da amico. Da essere umano. “Cinemaboy” era un nome d’arte che lo accompagnò nel periodo di contratto con una vecchia etichetta discografica. Concordo che sarebbe tranquillamente potuto arrivare all’estero se avessero dato a lui la giusta visibilità fin da subito. Mi fa piacere che si stiano unendo molti ascoltatori e non è di certo a loro che domando dove fossero prima. Ma benché Michele non abbia mai avuto luci artificiali per brillare, bastava la sua interna, avrei voluto che i riflettori, chi di dovere, li puntasse prima.
Michele regalava biglietti ai fans, organizzava incontri in giro gratuiti. È una cosa più unica che rara, nel mercato musicale. Pensi che la sua spiccata generosità e il suo totale disinteresse verso il denaro abbiano in qualche modo potuto influire sulla carriera musicale di Michele, forse per non essersi mai prestato alle “logiche al massacro” di quel mondo?
Assolutamente sì. Michele non voleva piegarsi a certe dinamiche perché non le reputava oneste verso chi lo seguiva. Non le riteneva in linea con la sua verità, che se doveva essere alterata non era più pura, e lui ha sempre voluto che la stessa purezza che ha sempre avuto da “persona” potesse veicolarla da artista. L’ho sempre stimato molto per questo. A volte, ammetto, io stessa gli dicevo «Michi, fregatene, se puoi giocarci su e può aiutarti, fallo». Ma come si diceva prima, lui prima di vederlo come un lavoro la vedeva come una missione. E questa missione per lui doveva sempre essere mossa dalla sincerità, solo così poteva raggiungere quello che per lui era il vero successo.
Stava lavorando a dei nuovi progetti musicali, che sono rimasti incompiuti. Ti va di fare un accenno ai lavori che stava preparando? Ne avevate parlato?
Purtroppo io e Michele in questo ultimo periodo litigammo. Io mi arrabbiai molto e arrivai a dirgli di non volerlo più sentire — frase ovviamente dettata dal mio essere stata nervosa in quel frangente, perché già il giorno dopo ci avrei riparlato come sempre. Ci siamo poi risentiti lo stesso, ma le nostre ultime conversazioni purtroppo riguardano argomenti meno allegri, come la salute che per entrambi scarseggiava. A metà aprile, però, parlammo molto di musica. Mi disse di tutte le difficoltà del caso, di quanto fosse difficile far quadrare i soldi per registrare — perché purtroppo sì, Michele forse più che guadagnarci ci perdeva, ulteriore testimonianza che non era di certo per soldi che ha scelto e portato avanti questo lavoro. Decisi, assieme ad un’altra ragazza, di aprire un GoFundMe per aiutarlo, perché sapevo che se non l’avessi fatto io lui non avrebbe mai chiesto aiuto a nessuno — difatti non voleva io gli dessi alcun contributo economico, ma anche lì ho per fortuna fatto di testa mia. La raccolta fondi non raggiunse la cifra che gli occorreva, ma comunque fu un piccolo aiuto e spero lo abbia fatto sentire supportato in questo investimento che faceva soprattutto per noi. So per certo che una canzone è terminata, ma sarà lungo lavoro provare a farla uscire per questioni di diritti — l’ultima etichetta a cui so che molti fan si sono rivolti non gli ha più rinnovato il contratto.
Michele aveva un rapporto molto speciale coi fan. Non ha mai dimenticato di ringraziarvi. Tu per cosa ringrazi Michele?
Ho sempre ringraziato Michele per tante cose, ma la principale è l’avermi concesso il privilegio di guardare il mondo attraverso i suoi occhi, che fosse con la sua arte e con la sua quotidianità. Entrambi soffriamo di depressione e mi sono sempre sorpresa di come lui, nonostante tutto, vedesse il bello nelle piccole cose. A causa della mia malattia ho spesso pensato di non aver più ragioni per vivere: da quattro anni ormai trascorro le giornate bloccate a letto e a volte anche star seduta a mangiare o fare una doccia sembra chiedere la Luna. Ma lui, senza avere mai la presunzione di poter essere luce in una vita che io ritenevo buia, senza far vedere che l’avesse in mano lui, teneva una torcia: pian piano riscoprivo ogni passione che il dolore fisico e psicologico mi avevano tolto.