Intervista alla Criminologa Mariarosaria Alfieri: violenza contro le donne ai tempi del coronavirus

L'emergenza nell'emergenza

Mariarosaria Alfieri, Dottoressa in Criminologia, in un’intervista come contributo nella lotta alla nascita di nuove forme di emergenza, conseguenti all’emergenza Covid-19.

Com’è nata la Sua passione per questo mestiere e cosa pensa della figura del criminologo in Italia?

La mia passione per la criminologia, nasce ai tempi della tesi di laurea. Siamo nel 2001, ed affronto infatti, il delicato tema della violenza delle donne contro gli uomini, in particolar modo soffermandomi sulle donne serial killer. Ad oggi, la figura del criminologo in Italia, è ancora poco riconosciuta. Spesso si confonde la criminologia, con la criminalistica, ed il criminologo viene visto come un tuttologo. In realtà, il criminologo è uno scienziato che, in base alla sua formazione universitaria e professionale prima, ed alla specializzazione poi, deve unire il sapere in modo sintetico, per un’indagine multidisciplinare, ed interdisciplinare dei fenomeni delittuosi.

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Ha trattato casi di cronaca? Quale l’ha colpita maggiormente?

Ogni caso, trattato nel corso di questi anni, mi è rimasto nel cuore. Noi che facciamo questo delicato lavoro, dobbiamo mettere l’essere umano, prima di ogni cosa. A febbraio, ho conosciuto Filomena Lamberti, una donna che, dopo più di 35 anni di violenze verbali e psicologiche, non poteva uscire di casa o salutare i suoi vicini, ma doveva camminare a ‘testa bassa’, in quanto, sfigurata completamente in volto, dal marito, con una lattina di acido. Ha subito 30 interventi chirurgici, ed una sua frase, mi è rimasta nel cuore: “ho perso la mia identità, ma finalmente ho la mia liberta‘”.

E poi, come dimenticare il figlio di una donna uccisa dal compagno, negli occhi blu di quel bambino che, ricordava perfettamente i capelli biondi della mamma, diventati rosso sangue; quegli occhi, nascondevano il dolore e l’impotenza di ognuno di noi, nei confronti di quel dolore immenso.

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Che consigli darebbe a chi vuole intraprendere la Sua stessa strada?

Ci vuole tanto coraggio, bisogna sempre osare, mai arrendersi. Fare il criminologo non è solo un lavoro, è un modo di vivere, di essere e di pensare. Il percorso di studio di un criminologo, è molto complesso. Il criminologo, in modo scientifico, deve cercare di entrare nella mente dell’autore di un reato, ed in base alla criminogenesi, ed alla criminodinamica, cercare di capire, perché quel soggetto si è comportato in quel modo e perché ha intrapreso la strada della devianza. Per poter fare un lavoro del genere, bisogna avere tanta passione, ma soprattutto una struttura di personalità solida. Inoltre è importante, evitare di esprimere giudizi, qualsiasi contesto sia. Il criminologo deve conoscere i fatti, analizzarli, ed evitare che azioni criminali possano ripetersi.

Il focus del nostro lavoro, è quello di una prevenzione costante. Inoltre, è necessario, possedere un’ottima capacità di dialogo e di sintesi, poiché la criminologia è una scienza, che dialoga con altre scienze. Solo attraverso il sapere integrato di tutte queste discipline, si possono avere risultati utili, ad abbassare le statistiche degli eventi criminosi. Eventi che, anche in questo periodo di emergenza sanitaria, non mancano a presentarsi.

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Dove nasce la violenza contro le donne e quali sono le categorie più a rischio?

La violenza contro le donne, ha una matrice culturale. È trasversale. Non ci sono differenze di classe o di istruzione, anche perché la violenza contro le donne, ha mille sfumature, si parte da quella verbale, economica, psicologica, sessuale e si arriva a quella fisica. Bisogna andar via al primo schiaffo. L’uomo violento non cambia.

In che modo possiamo arginare il fenomeno?

Ci vuole prevenzione a partire dai bambini. Bisogna insegnare loro, l’educazione al rispetto dell’altro. Nell’immediato, ci vuole maggiore tutela per le donne vittime. Molto si è fatto con il codice rosso, ma tanto c’è ancora da fare. L’autore di reato, fa un percorso criminale, che parte da un disagio, per arrivare al gesto estremo. Il femminicidio, è solo la punta di un iceberg di violenze subite, per anni. L’intervento tempestivo e la denuncia, possono salvare la vittima.

In piena emergenza Coronavirus, le richieste di aiuto delle donne, sono aumentate. L’obbligo a restare in casa ha triplicato i casi di violenza. Cosa si sente di dire in merito?

In emergenza Covid, da più parti ci è stato detto di restare a casa. Molte donne sono rimaste chiuse in casa, con i loro aguzzini. In quel caso, bisogna subito denunciare e scappare di casa, per evitare il peggio. L’emergenza che stiamo vivendo ci pone, inevitabilmente, di fronte a tante altre emergenze. Tra queste, non possiamo sottovalutare, la violenza perpetrata ai danni delle donne, tra le mura domestiche. Non dimentichiamo che, all’inizio di febbraio, ancor prima che scoppiasse la pandemia, in sette giorni, sono state ammazzate sei donne da mariti o compagni violenti.

Nelle ultime settimane, arriva il monito di restare a casa. La casa però non sempre è luogo di serenità e armonia. Ci sono donne e spesso, anche molti bambini, che vivono con i loro aguzzini. Ci sono donne, che subiscono violenza verbale, psicologica, sessuale ed economica, quotidianamente e che in questa situazione sono messe ancor più sotto pressione. Se è vero che l’unica nostra salvezza in questo momento è restare a casa, è anche vero che chi vive situazioni di violenza deve “scappare” da casa, deve denunciare, deve chiedere aiuto ai centri antiviolenza.

A sostegno delle donne vittime di violenza durante la pandemia, quali sono i diversi canali di aiuto?

Durante questo periodo di lockdown, è sempre stato attivo il 1522, numero nazionale antiviolenza e antistalking. È stata creata anche un’applicazione collegata a tale numero, in modo che le donne che non possono parlare a telefono, hanno la possibilità di chattare con un operatore. È attiva inoltre Youpol, l’applicazione della polizia, per denunciare le violenze domestiche.

Il Dipartimento per le Pari Opportunità, ha emanato la campagna “Libera puoi”. A farne le veci, i volti di Paola Cortellesi, Anna Foglietta, Fiorella Mannoia, Paola Turci, Giuliano Sangiorgio e tanti altri. I destinatari di questa campagna, sono le donne vittime di violenza. Qual’è il contributo, emanato dal Dipartimento delle Pari Opportunità?

Il Dipartimento Pari Opportunità, in modo costante, pone in essere campagne di prevenzione e sensibilizzazione a favore delle donne vittime. Propone bandi per potenziare case rifugio e centri antiviolenza. L’impegno è costante e non solo in questo periodo.

La campagnaLibera puoi“, pone l’attenzione sulla condizione della donna vittima di violenza, che a causa dell’emergenza covid, è costretta a vivere in casa h24 con il proprio aguzzino. Le case rifugio ed i centri antiviolenza, sono sempre operativi. Il Dipartimento delle Pari Opportunità, in modo costante, soprattutto negli ultimi anni, ha posto in essere una serie di iniziative, per la sensibilizzazione ed il contrasto alla violenza di genere ed al femminicidio. Ci sono numerosi bandi e campagne, per incentivare i centri antiviolenza, senza perdere di vista, anche le vittime cosiddette “secondarie” della violenza, ovvero i figli minori, che spesso, per anni, assistono a violenze inaudite. In Italia ci sono ormai a più di 2mila orfani di femminicidio. Si tratta di piccoli testimoni silenziosi, che spesso assistono non solo alle violenze quotidiane, ma anche all’acting out, ovvero all’uccisione della propria madre. Abbiamo il diritto di sentirci libere, sempre.

Arianna Ilardi
Arianna Ilardi
"Porto i segni di una guerra che alla fine ho vinto io".