Proseguiamo il racconto de “La morte di Mussolini” con l’ultima parte.
A questo punto può essere interessante proporre la testimonianza di Dorina Mazzola, che all’epoca aveva 19 anni e abitava esattamente davanti alla casa dei De Maria.
La testimonianza di Dorina Mazzola
«Mi arrivò l’eco di numerosi colpi di fucile e in casa De Maria scoppiò un furibondo litigio. Giacomo De Maria urlava e Lia De Maria piangeva e gridava disperata. Nel cortile c’erano alcuni uomini che si agitavano tra la porta di casa e quella della cantina. Tra di loro, mi colpì uno dalla testa calva che, nonostante la mattina grigia e fredda, indossava solo una maglietta bianca e camminava zoppicando a passi lenti. Dal finestrone del secondo piano s’affacciò una giovane donna che urlava, ma qualcuno la tirò. Intanto, quel signore con la maglietta bianca era sparito alla mia vista. Poco dopo, sentii altri sette colpi. Più tardi, da via del Riale, spuntarono altri tre uomini che si tenevano a braccetto e camminavano a passo molto lento. Dietro di loro, apparve una donna che gridava convulsamente. L’uomo al centro non camminava con le sue gambe; erano gli altri due a portarlo di peso, sorreggendolo sotto le ascelle. E la testa gli pendeva sulla sinistra. Scoppiò una lite tra i partigiani. Alcuni di loro ce l’avevano con quella donna, che faceva perdere tempo. La donna, che continuava a disperarsi e a gridare, fece qualche passo in direzione di via del Riale. Mi sembrò anzi che volesse correre avanti. Fu allora che qualcuno fece partire una raffica di mitra. I Partigiani urlavano: “Chi è quell’idiota che ha sparato?”. Ho guardato la donna e non si muoveva più. Le campane avevano appena rintoccato mezzogiorno.»
In conclusione
In conclusione, la versione di Walter Audisio appare per molti aspetti costruita a tavolino con l’intento di valorizzare la sua persona, allontanare dal Partito Comunista qualsiasi critica su come fosse stata progettata militarmente e portata a termine la missione, ma anzi circondarla da un’aura di eroismo e di giustizia ritrovata. L’ipotesi è quella che il Colonnello “Valerio” abbia deliberatamente voluto cancellare qualsiasi elemento riconducibile a come si erano svolti gli accadimenti. Uno di questi elementi, che avrebbe potuto essere rilevante nelle indagini, sono gli abiti indossati dal dittatore, neppure presi in considerazione dal prof Cattabeni; l’altro elemento è la pallottola rimasta all’interno del cadavere, che stranamente non è stata estratta, analizzata e conservata per successive indagini. A questi si deve aggiungere il numero dei colpi, la loro diversa angolazione, la distanza di sparo, il luogo scelto per l’esecuzione e l’orario non conforme con l’accertamento del rigor mortis.
Quanto è emerso, indica cosa non è accaduto, ma non come si siano svolti realmente i fatti. Tutto ciò pone il quesito sulla ragione di tanti depistaggi per suggerire che la morte di Mussolini avvenne a qualche centinaia di metri da dove, probabilmente, il dittatore fu ucciso e con un decesso spostato in avanti di qualche ora. Appaiono quali dettagli insignificanti; ma per qualcuno, e a quel tempo, non lo furono affatto.
Ciò che accadde in quei giorni, fu prima consegnato alla memoria e poi alla Storia. Un racconto che appare non sempre corrispondente alla verità oggettiva, ma ad una versione manipolata per necessità politica e di potere, in relazione alla nuova Italia che stava sorgendo dalle ceneri della guerra.
Massimo Carpegna
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